di Marco Corno –
Papa Francesco il 18 agosto 2014, durante il viaggio di ritorno dalla missione in Corea del Sud, ha espresso tutta la sua preoccupazione per le continue crisi ed escalation a livello mondiale: “Siamo di fronte ad un nuovo conflitto globale, ma a pezzetti. Nel mondo c’è un livello di crudeltà spaventosa, la tortura è diventata ordinaria. Sì, un aggressore ingiusto deve essere fermato, ma senza bombardare o fare la guerra”. Papa Bergoglio con questa parole ammette il fallimento di regolamentare il rapporto guerra e anarchia nella società internazionale tramite istituzioni che favoriscano il dialogo allo scontro armato, eliminando l’elemento anarchico per portare progressivamente la pace nel mondo, come affermava Kant.
Sebbene alcune organizzazioni internazionali come la Ceca e la Cee abbiano garantito una pace duratura nel vecchio continente, adesso il sistema internazionale sembra ritornare alla vecchia logica di potenza, i cui rule makers non sono più le istituzioni internazionali ma gli stati nazione che garantiscono l’equilibrio dell’ordine internazionale eliminando minacce egemoniche di eventuali stati aggressori manu militari come ultima ratio. Simmetricamente, il centro del mondo si è spostato, de iure et de facto, nell’Oceano Pacifico con effetti così rilevanti che implicano un completo cambiamento dei paradigmi geopolitici, economici, finanziari, politici e sociali con cui analizzare e interpretare le vicende globali, non più in un’ottica ovest-est strettamente eurocentrica, come è sempre stato fin dal 1800, ma est-ovest asia-centrica.
Partendo da un’analisi geografica, se il centro del mondo si è spostato a est questo implica che l’Europa si trova alla periferia di esso mentre aree geopolitiche, finora considerate irrilevanti, diventano centrali come l’Indocina, l’Indonesia e il Sud-est Asiatico. Se quindi la posizione geopolitica degli avvenimenti cambia, il conflitto mistico-biblico tra potenze Talassocratiche e Telluriche ritorna a dettare le scelte e le azioni strategiche del mondo tout court, dopo la “parentesi” bipolare della Guerra Fredda. Il sistema multipolare post-Vestfalia (1648) è sempre stato caratterizzato da una forte dicotomia tra potere terrestre e potere marittimo e nel XXI secolo questa diatriba continua con le potenze terrestri (Russia, Cina) che cercano di compattare stabilizzare l’Isola Mondiale mentre le potenze insulari (USA e Regno Unito) di frammentarlo, secondo la logica del divide et impera, lungo una fascia geopolitica, denominata da Spykman, Rimland, cioè una cintura di terre estesa dall’Europa Orientale che, passando per il Mediterraneo, arriva fino alla Cina. Questa esegesi dei rebus del mondo difficilmente accetta l’avvenimento episodico o epifenomenico di guerre, crisi diplomatiche o economiche perché tutto si reductio ad unum nella rivalità tra il Leviatano marino e il Behemoth terrestre.
Le guerre in Jugoslavia (1991-1995,1999) sono state un chiaro esempio dello scontro tra i due mondi, con la Serbia di Milosevic che cercava di mantenere compatta l’area dei Balcani mediante la forza mentre gli USA e la NATO, appoggiando la Bosnia Erzegovina prima e il Kosovo poi, hanno proceduto, con vere e proprie rappresaglie armate aree, a frammentare definitivamente la Jugoslavia creando stati cuscinetto anti-Belgrado, paese satellite della Russia, al fine di impedire una possibile proiezione futura di Mosca nella regione, impiegando come casus belli la violazione dei diritti umanitari.
O ancora la guerra in Afghanistan nel 2001 fu il fallito tentativo americano, come teorizzò Brzezinski nella Grande Scacchiera del 1997, di: “penetrare il ventre molle dell’Eurasia”, diventata poi una zona di impantanamento lontana da una soluzione definitiva.
Per quanto riguarda la NATO, l’espansione della sfera di influenza euro-atlantista nel cuore dell’Eurasia ha provocato una forte reazione difensiva della Russia, il gigante eurasiatico, culminata con la guerra in Georgia (2008), l’occupazione militare dell’Ossezia del Sud e l’occupazione della Crimea dopo lo scoppio della crisi ucraina (2013-2014) nonché il sostegno militare e politico alle minoranze russe del Donbass.
L’attuale querelle in medio-oriente (2011-…) sono un unicum trapezistico e vaniloquio dello scenario geopolitico classico che solo uno stato taumaturgo può risolvere. Molti analisti tendono a studiare, avvalendosi di un approccio classico pienamente legittimo, le vicende del Siraq come una guerra regionale tra il mondo sciita e il mondo sunnita (riconoscendo anche l’esistenza allo stesso tempo di una rivalità all’interno del mondo sunnita, es. Qatar contro Arabia Saudita) per la supremazia della regione tra l’Iran e l’Arabia Saudita. Al contrario, adottando un approccio macro, si constata come il contrasto per il controllo della regione sia in verità tra stati eurasiatici-terrestri (Iran, Turchia e Russia) e stati occidentali-marittimi (Francia, Regno Unito e USA) con rispettivi alleati nella regione araba.
Sebbene fino al 2007 il sistema internazionale era fondato su un sistema di valori comuni ed erano solamente gli interessi l’elemento di contrasto tra gli attori internazionali, con la crisi del 2008 si è assistito ad un indebolimento del mondo euroatlantico da tutti i punti di vista e una forte ascesa del mondo euroasiatico a guida cinese. Questo avvenimento ha creato i presupposti per una nuova sfida mondiale, non basata più solo sugli interessi, acuitasi a partire dal 2017 con l’ascesa dell’amministrazione Trump. Ricomincia la sfida diretta stato-stato, gli USA temono di implodere su se stessi cedendo il ruolo di dominus alle potenze euroasiatiche, pertanto puntano a bloccare la nascita di una Grande Eurasia, formata da Russia, Turchia, Iran e Cina, destabilizzando questi ultimi due.
La crisi con l’Iran potrebbe a breve degenerare in una guerra con gli USA. L’assillo degli Stati Uniti è infatti la nascita di un’altra grande economia eurasiatica che, dal punto di vista energetico, metterebbe a dura prova il mercato degli alleati sauditi mentre, dal punto di vista commerciale, potrebbe diventare un grande hub, non solo dei propri interessi, ma anche degli interessi russo-cinesi, proiettando la sfera di influenza eurasiatica in Medio Oriente e in Europa, si veda ad esempio la Nuova via della Seta cinese. Le sanzioni firmate dal presidente Trump, che entreranno in vigore il prossimo 8 novembre 2018, mirano proprio a isolare o ostracizzare Teheran dalla società internazionale, scoraggiando gli alleati europei dal rispetto dell’Accordo sul Nucleare (2015), pena contro-sanzioni.
La sfida Pechino-Washington è invece la più pericolosa: lo scontro tra questi due imperi, prima ancora che essere geopolitico, è ideologico: il capitalismo di stato cinese contro il capitalismo di libero mercato americano, il sistema confuciano contro il sistema democratico… Di conseguenza, dato che parliamo di due super potenze, la guerra tra l’Impero terrestre cinese e l’impero oceanico americano sarà ideologica e la storia ha insegnato che le guerre ideologiche non sono solo le più brutali, ma sono anche quelle che portano ai cambiamenti più significativi: la guerra dei trent’anni (1618-1648), la guerra dei sette anni (1756-1763), le guerre napoleoniche (1800-1815), la prima guerra mondiale (1914-1918) e la seconda guerra mondiale (1939-1945).
Nel tentativo di emulare l’influenza cinese nei mari circostanti, il Leviatano americano ha bisogno di alleati terrestri come proiezione del potere oceanico nella regione. Nonostante ci siano già paesi vicini a Washington, come le Filippine, manca infatti al momento una grande alleanza militare.
Ecco spiegato come mai l’amministrazione americana vuole un maggiore contributo economico nelle spese militari dei paesi membri dell’Alleanza Atlantica, in modo da poter trasferire la maggior parte dei fondi americani nell’istituzione di una nuova NATO asiatica ad hoc (PATO, Pacific Asia Treaty Organization) in funzione anti-cinese, proponendo il progetto ai paesi dell’ASEAN, la maggior parte dei quali è storicamente sinofoba, mettendo al centro le controversie marittime tra i paesi della regione e la Cina per il controllo degli arcipelaghi limitrofi. La guerra commerciale è solo un espediente per prendere tempo, in attesa di istituire questa alleanza, così come lo è stata la crisi nucleare nord coreana mentre l’area di scontro che determinerà un’escalation diretta tra Pechino e Washington sarà probabilmente la questione delle “Due Cine”.
Il periodo in cui ci troviamo a vivere è forse solo uno status quo ante bellum che, con tutta probabilità, comincerà a rompersi nel giro di pochi anni.