di Giuseppe Gagliano –
Con 180 voti favorevoli, la Colombia è stata eletta membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per il biennio 2026-2027. Si tratta di un rientro atteso da tredici anni e al tempo stesso dell’ottava partecipazione della Repubblica andina all’interno del massimo organo decisionale dell’ONU in materia di pace e sicurezza internazionale. Ma dietro l’apparente routine diplomatica, la nomina riflette un’evoluzione più profonda: quella di una Colombia che ambisce ad affermarsi come attore multilaterale affidabile in un contesto globale sempre più instabile.
Il governo del presidente Gustavo Petro ha accolto con orgoglio il risultato, presentandolo come un riconoscimento del nuovo corso della politica estera colombiana. Per la ministra degli Esteri Laura Sarabia, si tratta di una “vittoria diplomatica” che premia l’impegno della presidenza nel rilanciare il ruolo del Paese nelle sedi internazionali. La Colombia, ha sottolineato la ministra, porterà al Consiglio principi chiari e consolidati: rispetto del diritto internazionale, difesa dei diritti umani, promozione della risoluzione pacifica dei conflitti.
Ma l’elemento distintivo della candidatura colombiana risiede in un capitale simbolico spesso trascurato: la memoria storica di un Paese che, dopo decenni di guerra civile, ha costruito un lungo e faticoso processo di pace. È su questa esperienza, unica nel panorama latinoamericano, che il governo intende fondare il suo contributo all’azione dell’ONU, proponendo un modello di mediazione fondato sulla negoziazione, la giustizia transizionale e il reintegro sociale.
In un momento in cui le Nazioni Unite faticano a incidere nelle grandi crisi – dall’Ucraina a Gaza, dallo Yemen al Sahel – la Colombia si candida a essere voce del Sud globale, promotrice di una diplomazia partecipata e sensibile alle dinamiche regionali. Il Consiglio di Sicurezza, spesso paralizzato dai veti dei membri permanenti (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito, Francia), potrebbe beneficiare della presenza di un attore che, pur non essendo una potenza, porta con sé la credibilità derivata dall’aver trasformato il proprio conflitto in un esempio di pace imperfetta ma reale.
Il mandato comincerà ufficialmente il 1 gennaio 2026 e durerà fino al 31 dicembre 2027. Durante questi due anni, la Colombia si impegna, secondo il comunicato ufficiale, a contribuire attivamente alla costruzione di una convivenza pacifica tra le nazioni e al rafforzamento di un’agenda multilaterale fondata sulla prevenzione dei conflitti e sulla promozione del dialogo.
Il ritorno della Colombia al Consiglio di Sicurezza arriva in un momento storico particolarmente delicato. La credibilità dell’ONU è sotto attacco, la diplomazia multilaterale è percepita da molti come inefficace, e l’America Latina, pur spesso marginalizzata nei grandi tavoli, cerca un ruolo più incisivo. In questo contesto, la scelta della Colombia riflette la volontà dell’Assemblea Generale di affidarsi a un attore che, pur inserito nel blocco occidentale, ha una visione autonoma, post-coloniale, orientata al negoziato piuttosto che alla contrapposizione.
Un seggio non permanente non cambia il mondo, ma può dire molto su come un Paese intende posizionarsi nel mondo che cambia. E la Colombia, con questa elezione, manda un segnale chiaro: non vuole più essere solo teatro di interventi esterni, ma protagonista di soluzioni.