Colombia. La violenza non conosce limiti

di Paolo Menchi

Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, al termine di un’indagine conclusasi il 22 dicembre scorso, ha diffuso al Consiglio di sicurezza un documento preoccupante sulla situazione della violenza in Colombia che verrà dibattuto il prossimo 21 gennaio.
Soprattutto nelle zone rurali si è rilevato un consistente aumento della violenza che ha bloccato il già difficile processo di pace iniziato con l’abbandono della guerriglia da parte delle Farc e si calcola che, dopo questa data, ci siano stati circa 300 attacchi e oltre 200 omicidi contro gli ex membri delle Farc da parte della polizia e dei gruppi paramilitari.
Il processo di pace era iniziato nel 2016, quando l’allora presidente Santos aveva concordato la smobilitazione dell’esercito di guerriglieri delle Farc ,diventate un partito politico (Fuerza Alternativa Revolucionaria del Común) ma , dopo la nomina del nuovo presidente Ivan Duque, molto critico sull’accordo raggiunto dal suo predecessore, ritenuto troppo favorevole ai guerriglieri, il processo di riconciliazione nazionale ha subito un forte rallentamento, tanto che il numero due delle Farc , Ivan Marquez, è tornato alle armi creando un gruppo di dissidenti.
Lo scorso mese di novembre una grande manifestazione a Bogotà ha portato in piazza migliaia di persone per manifestare appoggio al processo di pace, ma la strada pare molto in salita, viste anche le divisioni all’interno dei soggetti che dovrebbero farsi carico del problema.
In questo momento le violenze sono perpetrate dai narcotrafficanti, dalle bande criminali, dalle Farc dissidenti e dall’altro gruppo guerrigliero che non aveva aderito all’accordo (ELN), dai militari e dai paramilitari.
Tra le categorie più colpite ci sono i leader sociali, cioè coloro che lottano per i diritti umani, chi si fa promotore di iniziative per alleviare i disagi delle popolazioni rurali portando assistenza medica e istruzione anche nelle zone più remote e chi difende l’ambiente, toccando gli interessi di quelle organizzazioni criminali che gestiscono le zone abbandonate dalle Farc.
Paradossalmente il processo di pace ha portato ad una criminalità più diffusa e ad una ripresa della violenza politica impedendo a tanti semplici cittadini di tornare a lavorare le loro terre o a commerciare.
Secondo un report del Ministero dell’Interno, nel 2020 sono stati uccisi 47 leader sociali, ma, secondo le organizzazioni che tutelano i diritti umani, queste cifre sono ampiamente sottostimate, visto che gli omicidi sono circa 300, rimasti praticamente tutti impuniti, anche perché non vengono mai effettuate indagini approfondite.
Una situazione esplosiva aggravata dalla povertà, peggiorata recentemente a causa del Covid e della massiccia immigrazione di venezuelani in fuga dal loro paese (oltre due milioni di persone) che ha reso ancora più tesi i rapporti sociali.
Nonostante una crescita costante del pil (fino al 2019) la percentuale di popolazione che vive sotto la soglia di povertà è di circa il 34% e il tasso di disoccupazione lo scorso mese di novembre superava il 13%.
L’attuale presidente Ivan Duque, eletto nel 2018 a 42 anni, il più giovane presidente degli ultimi cento anni, ha segnato il ritorno al potere della destra il cui leader continua ad essere l’ex presidente Uribe, di cui si dice Duque sia il delfino, l’uomo più potente della politica colombiana, arrestato recentemente per corruzione, ma da sempre sospettato di avere rapporti illeciti con gruppi paramilitari.
Già dopo pochi mesi il nuovo presidente iniziò a perdere ampi consensi fino ad arrivare al minimo attuale di circa il 35%, è al centro di uno scandalo per acquisto di voti ed è sospettato di essere colluso con alcuni gruppi paramilitari, tanto che si è costituito un comitato promotore di un referendum per chiedere la sua destituzione.