Colombia. Petro non rinnova il cessate-il-fuoco con le Farc resistenti

di Giuseppe Gagliano

In Colombia la guerra civile non è mai finita del tutto. Si è solo frammentata, confusa, dispersa. E ora, mentre il governo di Gustavo Petro cerca di tenere in vita la sua “pace totale”, la realtà lo costringe a una mossa delicata: non rinnovare formalmente il cessate-il-fuoco con lo Stato Maggiore Centrale delle FARC dissidenti, ma allo stesso tempo ordinare la sospensione di ogni offensiva militare contro i gruppi ancora coinvolti nel negoziato.
Una tregua a metà. Una pausa che non è armistizio, ma neppure dichiarazione di guerra. Fino al 18 maggio le forze armate e la polizia non potranno attaccare le strutture armate considerate “in dialogo”. Sul piano politico Petro manda così un doppio segnale: la volontà di non interrompere il processo di pace, ma anche la necessità di non lasciarsi manipolare da quelle frange dissidenti che hanno approfittato della tregua per espandere le proprie attività criminali.
Il cessate-il-fuoco, entrato in vigore nel gennaio 2024, aveva rappresentato uno dei pilastri del progetto di riconciliazione nazionale. Ma nel tempo, il meccanismo si è incrinato: accuse incrociate, violazioni sul campo, riorganizzazioni interne alle stesse FARC dissidenti. Alcuni fronti, in particolare quelli legati a Iván Mordisco, sono stati accusati di sfruttare la tregua per rafforzare i propri interessi sul territorio, in particolare nel narcotraffico.
Petro, stretto tra le pressioni interne e gli equilibri geopolitici regionali, ha scelto di non chiudere la porta, ma di rinegoziarne i cardini. Il decreto presidenziale prevede anche la creazione di un comitato di valutazione permanente e l’attivazione di un meccanismo di comunicazione tra governo, forze armate e dissidenti, per prevenire escalation e monitorare la situazione.
Nel frattempo i guerriglieri della fazione Calarcá hanno risposto con un comunicato ambiguo: da un lato, accuse al governo di aver violato la tregua, dall’altro una serie di “raccomandazioni” alla popolazione civile, tra cui stare lontani da basi militari e convogli, che suonano come una minaccia indiretta di ritorno alla guerra.
Il rischio di una nuova fase di scontri è reale. Ma anche l’illusione di una pace imposta dall’alto, senza consenso né controllo reale, si è rivelata fragile. In Colombia la parola “cessate il fuoco” non ha mai significato la stessa cosa per tutti.
Il presidente Petro sceglie di guadagnare tempo. Ma il tempo in Colombia non è mai neutro: è un campo di battaglia dove la storia, la giustizia e la paura si rincorrono. E la pace, più che un obiettivo, è ancora un interrogativo.