Colombia. Si riarmano i dissidenti delle Farc: a rischio gli accordi di pace

Il Venezuela di Nicolas Maduro accusato di interagire con la guerriglia e di ospitare i campi paramilitari delle diverse sigle attive in Colombia.

di Alberto Galvi

La scorsa settimana Iván Márquez, uno dei leader storici delle FARC-EP (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia – Ejército del Pueblo), ha proclamato mediante un video la ripresa della guerriglia. La maggior parte delle FARC-EP è stata smobilitata, ma circa 2.300 combattenti distribuiti in diversi gruppi armati, sono ancora impegnati nel traffico di droga e nell’estrazione illegale delle miniere.
Il più importante leader politico e militare delle FARC-EP è però Rodrigo Londoño, l’attuale portavoce della formazione CRAF (Common Revolutionary Alternative Force). Il partito politico dell’ex guerriglia ha preso le distanze dai dissidenti che vogliono ritornare alle armi, insistendo sul fatto che oltre il 90% degli ex guerriglieri rimane impegnato nel processo di pace.
In questo frangente ci sarà un’alleanza fra i dissidenti delle FARC-EP e l’ELN (Ejército de Liberación Nacional). Il partito del CRAF alle scorse elezioni presidenziali ha ottenuto 10 parlamentari, ma dopo la ripresa della guerriglia bisognerà vedere cosa succederà alle elezioni regionali del prossimo ottobre.
Con la battuta d’arresto degli accordi negoziati a Cuba firmati nel 2016 sotto il governo dell’ex presidente e Premio Nobel per la Pace, Juan Manuel Santos, si mobilita così una nuova guerriglia. I dissidenti delle FARC-EP sono attualmente divisi in piccoli gruppi comandati ognuno da un proprio leader, distribuiti in diverse regioni del paese, e quindi non hanno più una leadership centralizzata come quella precedente gli accordi di pace.
L’accordo del 2016 aveva portato al disarmo di circa 7 mila combattenti che intendevano porre fine ad una ribellione durata oltre mezzo secolo e costata centinaia di migliaia di vittime. Con la ripresa delle ostilità inizia così una grande sfida per il governo del conservatore Iván Duque, alleato degli Stati Uniti per disautorare il presidente venezuelano Nicolás Maduro. La Colombia è uno dei 50 stati che ha riconosciuto Juan Guaidó quale presidente responsabile del Venezuela.
Fin dall’inizio del suo mandato il nuovo presidente colombiano, Iván Duque, ha espresso scetticismo riguardo agli accordi di pace. Duque ha cercato la revisione e in alcuni casi lo smantellamento dei tribunali, perché ritenuti troppo indulgenti verso chi aveva praticato la lotta armata.
Inoltre l’accordo di pace raggiunto 2 anni e mezzo fa non ha portato nessun giovamento alla popolazione che vive nei territori allora controllati dalle FARC-EP. Nonostante la pace, gli abitanti non sono infatti stati in grado di accedere ai servizi come ospedali e scuole, ed è rimasto difficile per loro persino l’approvvigionamento all’acqua. Inoltre gli agricoltori hanno continuato a coltivare le foglie di coca, una delle principali fonti di sostentamento nelle zone remote.
Tra gennaio e febbraio la Colombia, insieme agli altri 13 membri del Gruppo di Lima, hanno dichiarato illegittima la rielezione di Nicolás Maduro accusandolo di autoritarismo. Già nel 2008 il governo di Hugo Chávez aveva rotto le relazioni diplomatiche con la Colombia in quanto tutelava i guerriglieri delle FARC-EP e dell’ELN nel territorio venezuelano.
Maduro stesso negli ultimi anni ha protetto i membri delle FARC-EP sul proprio territorio. Qualche anno fa i cartelli colombiani gestivano l’attività e corrompevano i funzionari della Repubblica Bolivariana. Ora invece i venezuelani partecipano direttamente al traffico di droga.
Con l’immigrazione illegale di massa di oltre 1 milione di venezuelani in Colombia, sono aumentate le fratture diplomatiche tra i 2 paesi anche a causa della costante chiusura di entrambi confini. Un’altra fonte di tensione è il continuo passaggio illegale di droga, merci e gruppi paramilitari da entrambi gli stati.
Il governo colombiano offre una ricompensa di 3 miliardi di pesos a chiunque fornisca informazioni che aiutino a catturare questi guerriglieri. Il presidente Iván Duque ha denunciato i seguenti leader delle FARC-EP: Luciano Marín Arango, Seuxis Paucias Hernández, Hernán Darío Velásquez, Henry Castellanos, José Manuel Sierra, Gener García Molina, José Vicente Lesmes, Alberto Cruz Lobo, Olivio Merchán Gómez, Julio Enrique Rincón Rico e Germán Silva Hernández. Codesti guerriglieri hanno il supporto del presidente Maduro, e avrebbero registrato in Venezuela il video trasmesso nei giorni scorsi.
Nel territorio venezuelano sono attivi campi di guerriglieri dove sono presenti 8 gruppi paramilitari dell’ELN, 6 dei dissidenti delle FARC-EP e 4 dell’EPL (Ejército Popular de Liberación), per un totale di 18 gruppi paramilitari. Altri gruppi presenti sul territorio sono: i Los Urabeños, gli AGC (Autodefensas Gaitanistas de Colombia), i Los Rastrojos, la FBL (Fuerzas Bolivarianas de Liberación) e il MCB (Movimiento Continental Bolivariano).
La ripresa del conflitto è una sconfitta per tutte le parti in causa. Per le FARC-EP e l’ELN la guerra è durata diversi decenni, ma non è bastata a prendere il potere nel proprio territorio, mentre al governo colombiano tutto questo tempo non è bastato per sconfiggere la guerriglia.
In questi giorni il presidente colombiano Duque ha annunciato un’offensiva contro il gruppo guidato dall’ex negoziatore ribelle Iván Márquez, e ha chiesto al presidente dell’Assemblea nazionale del Venezuela Juan Guaidó il suo sostegno dinanzi alla giustizia colombiana allo scopo di catturare gli ex comandanti dissidenti paramilitari. Per fare ciò Guaidó autorizzerà l’uso dei satelliti per localizzarli sul proprio territorio.

L’accordo di pace con le Farc aveva messo fino ad oggi fine a 57 anni di guerriglia: i combattenti di ispirazione marxista-leninista avevano, come dicevano, lo scopo di proteggere gli interessi dei poveri e dei contadini che abitano l’entroterra colombiano contro le classi ricche e per opporsi all’ingerenza degli Stati Uniti negli affari interni della Colombia, alla privatizzazione delle risorse naturali, alle multinazionali e alla violenza delle organizzazioni paramilitari. Le Farc, che controllavano quindi ampie parti del territorio dell’entroterra, si finanziavano con la produzione e alla vendita della coca, per quanto sussistano dubbi sulla gestione diretta del narcotraffico. Il conflitto è costato 200mila vittime, di cui l’80% civili.
I punti cardini dell’accordo prevedevano la fine del conflitto, ma anche l’introduzione di una riforma agraria che si sarebbe dovuta attuare nel rispetto della società e dell’ambiente, la partecipazione degli ex guerriglieri alla vita politica (cioè la possibilità di costituire un partito a tutti gli effetti) e lo stop alla produzione della droga, per cui si sarebbe dovuta realizzare una riconversione delle coltivazioni in prodotti agricoli.