Cop21: i dati dell’Unfccc ne svelano il fallimento

di C. Alessandro Mauceri

Kerry firma cop21In occasione degli incontri alla COP21 di Parigi del novembre 2015, vi furono grandi festeggiamenti per il documento finale sottoscritto dai rappresentanti di ben 196 paesi. Molti (e noi fra loro) avanzarono seri dubbi: l’accordo prevedeva infatti che non avrebbe avuto alcun valore se non fosse stato ratificato da almeno il 55 per cento dei Paesi firmatari e, cosa ancora più importante, responsabili di almeno il 55 per cento delle emissioni di CO2.
In mancanza di questi risultati l’incontro di Parigi sarebbe stato un fallimento, l’ennesimo per quanto riguarda le misure da adottare per salvare il pianeta.
I dubbi sorti durante la COP21 divennero quasi realtà ad aprile, a New York. In quell’occasione il segretario generale (uscente) delle Nazioni Unite Ban Ki-moon si vantò della presenza massiccia di un gran numero di paesi: a firmare furono ben 175 rappresentanti. Anzi lo fecero tenendo in braccio un bambino: trattandosi della Giornata del minore era un modo di far vedere come i vari leader avessero a cuore il loro futuro.
L’attenzione dei media venne concentrata sulla partecipazione all’evento di un noto attore, Leonardo di Caprio, che disse: “Il mondo vi sta guardando. Voi siete l’ultima migliore speranza della Terra, noi vi chiediamo di proteggerla o tutti noi, tutte le creature viventi, saremo storia. Voi sarete applauditi dalle future generazioni o sarete condannati. Potremmo avere onore e disonore: solo noi possiamo salvare o perdere l’ultima speranza della Terra. Il nostro compito è questo: voi siete l’ultima migliore speranza della Terra”.
In effetti quella di New York fu una performance eccezionale. Uno spettacolo mai visto. Il segretario generale Ban Ki-moon esortò tutti i paesi a muoversi rapidamente per aderire all’accordo a livello nazionale dato che la tempistica per la definizione delle iniziative previste dalle Nazioni Unite era abbastanza serrata e molti gli adempimenti da compiere. Ma a leggere bene il rapporto, però, sarebbe più corretto parlare di fallimento: ai paesi che hanno partecipato a Parigi durante la COP21 non sono bastati cinque mesi per ratificare gli accordi. In molti paesi hanno ratificato l’accordo e a firmare spesso sono state persone che non avevano ricevuto alcun mandato ufficiale per farlo.
A confermare che la situazione è praticamente ridicola è il rapporto dell’Unfccc (la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici). Sul sito dell’Unfccc vengono riportati i dati ufficiali relativi ai paesi aderenti e che hanno ratificato gli accordi ufficialmente.
La situazione è sconcertante. Dei 196 paesi presenti e firmatari a Parigi, solo 21, circa il dieci per cento, hanno ufficialmente rinnovato l’accordo. Ma il fatto più grave è che tra questi non c’è nessuno di quelli maggiormente responsabili delle emissioni di CO2.
I paesi che hanno realmente aderito al trattato di Parigi sono responsabili solo dello 0,85 per cento delle emissioni! (vedi)
Neanche l’uno per cento, quindi. E, soprattutto, ben lontano dal 55 per cento necessario per rendere ufficiali gli accordi. Un dato sufficiente a far comprendere a tutti quanto realmente i paesi maggiormente responsabili dei cambiamenti climatici in atto tengono alla salute dei propri cittadini (e di tutti gli altri). Ma soprattutto un numero che dimostra quanto poco veritiere possono essere le promesse fatte da molti politici e schiaffate sulle prime pagine dei giornali di tutto il pianeta. Quella è stata solo una rappresentazione, uno spettacolo che tutti i telegiornali e i media hanno riportato in prima pagina. La realtà è ben diversa. Molto più di quanto possa sembrare. E di questa realtà, quasi nessuno ha il coraggio di parlare. Tanto più che ormai mancano solo tre mesi alla data di inizio della COP22: quella in cui i paesi e le Nazioni Unite dovranno dire cosa hanno saputo fare dall’accordo di Parigi.