Costa Rica. America Latina: accordo per proteggere i “leader sociali”

di Paolo Menchi

Da anni in America Latina si assiste impotenti ad una serie infinita di omicidi dei cosiddetti leader sociali, vale a dire coloro che lottano per i diritti umani, per l’ambiente, per la difesa dei territori indigeni, per la diffusione dell’educazione anche tra le popolazioni che vivono nelle zone più remote e in genere che stanno dalla parte delle minoranze.
Quasi sempre la difesa di questi diritti fondamentali, che potrebbero essere accettati da tutti, si scontra con enormi interessi economici sia della criminalità organizzata che di grandi multinazionali interessate ad allargare le coltivazioni o a sfruttare maggiormente e senza tutele per la salute pubblica le risorse naturali dei paesi della zona.
Miniere anche a cielo aperto, coltivazioni soprattutto di soia transgenica, coltivazioni illegali di coca, rapimenti di ragazzi da utilizzare come schiavi nelle piantagioni, deforestazioni con incendi dolosi per lasciare spazio agli allevamenti, sono solo esempi dei fenomeni contro cui lottano i leader sociali.
Anche le restrizioni dovute alla pandemia hanno peggiorato la situazione perché la scarsa mobilità attuata per ridurre i rischi di contagio, ha permesso agli assassini di individuare più facilmente, spesso addirittura nelle loro case, le persone scomode.
Contare quanti siano questi omicidi è difficile, visto che non tutte le fonti sono concordi sul numero esatto di morti ma, in ogni caso, ogni cifra che viene pubblicata è spaventosa e registra aumenti progressivi di anno in anno.
Si calcola che solo in Colombia dal 2016, l’anno in cui è stato firmato l’accordo di pace con i guerriglieri delle Farc, siano stati uccisi 904 leader sociali e 276 ex combattenti.
Delle dieci nazioni che nel mondo hanno registrato più omicidi in questo settore, ben sette appartengono alla regione latino americana e sono, nell’ordine, Colombia, Brasile, Messico, Honduras, Guatemala, Venezuela e Nicaragua.
Proprio in seguito al riconoscimento del problema, la scorsa settimana dodici paesi della regione hanno ratificato un accordo denominato di Escazù (in Costa Rica) che obbliga gli aderenti a proteggere i leader sociali, ma, a livello pratico c’è il rischio che si tratti di tanta retorica anche per giustificare i numerosi casi impuniti di personaggi che avevano acquisito nel loro paese una certa importanza, e di poche norme pratiche che difficilmente possono garantire l’obiettivo prefissato.
L’accordo prevede per la popolazione l’accesso all’informazione pubblica e alla giustizia su qualsiasi progetto che possa avere un impatto a livello ambientale, oltre alla protezione dei diritti, in primis quello della vita, che deve essere garantito ai leader sociali, ma queste norme così generiche possono essere utili se esiste la volontà politica, finora sempre molto latitante, di attuarle, visto che certe norme ribadite con l’accordo esistevano già, ma non erano applicate.
Il fatto che tra i paesi che hanno firmato l’accordo non ci siano Perù, Cile ma soprattutto Colombia e Brasile da una parte la dice lunga sullo scarso peso del nuovo trattato nell’affrontare un fenomeno in costante peggioramento, ma, dall’altro, già solo aver riconosciuto ufficialmente il problema può essere considerato un punto di partenza, con la speranza che le adesioni al progetto aumentino e ci siano dettami ancora più precisi e severi per salvaguardare i leader sociali e quello che rappresentano nei vari paesi.
I detrattori dell’accordo, che hanno portato alla mancata adesione di importanti nazioni, sostengono che possa bloccare i piani di sviluppo economico con il ricorso troppo frequente alla giustizia, cosa che teoricamente potrebbe essere anche vera, ma, a questo punto, ci si deve chiedere se vogliamo uno sviluppo sostenibile che permetta di salvaguardare l’ambiente e che non crei ulteriori problematiche a livello di cambiamenti climatici o se vogliamo lo sviluppo a tutti i costi con la consapevolezza di dover pagare in termini di vittime più di quanto abbia fatto la pandemia.