
di Giuseppe Gagliano –
Benjamin Netanyahu ha qualcosa in comune con Vladimir Putin, Slobodan Milosevic, Muammar Gheddafi e Nicolas Maduro: tutti sono stati inquisiti dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e/o contro l’umanità. E così se la Corte de L’Aja ha emesso un mandato d’arresto internazionale nei confronti del presidente russo Vladimir Putin con l’accusa di aver fatto trasferire bambini ucraini in Russia (dove in realtà hanno parenti), quello indirizzato al premier israeliano parla di “aver causato lo sterminio, di aver usato la fame come arma, compresa la negazione delle forniture, e di aver preso di mira in modo deliberato i civili”. Fatti palesi, sotto gli occhi di tutti tranne che dei media e delle cancellerie occidentali, ma più di tutto parlano i dati: i morti ad oggi nella Striscia sono oltre 35mila, di cui un terzo bambini, spesso schiacciati dalle macerie dei palazzi colpiti dall’esercito israeliano, ma vi sono anche video di civili indifesi uccisi dai soldati a bruciapelo. Ad essere oggetto del mandato d’arresto anche il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, ma il procuratore Karim Khan ha fatto altrettanto con il comandante di Hamas Yahya Ainwar, quello delle Brigate Ezzedin al-Qassam Mohammed Deif e il capo del braccio politico del partito, Ismail Haniyeh, specificamente per i fatti del 7 ottobre.
Tecnicamente se Netanyahu dovesse recarsi in uno dei 128 paesi che riconoscono la Corte verrebbe tratto agli arresti, basti pensare che il presidente russo Vladimir Putin non potette recarsi al summit dei Brics in Sudafrica, ma per quanto riguarda casa propria e l’alleato di ferro Usa il premier israeliano può considerarsi salvo, dal momento che ne’ Israele, né gli Usa, né la Cina, né la Russia riconoscono per ovvi motivi la Corte penale internazionale.
Dure le reazioni da parte di Usa e Israele: Joe Biden ha definito il mandato “una vergogna”, il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ha parlato di “decisione scandalosa, un affronto alle vittime israeliane e ai 128 rapiti. La Cpi mette sullo stesso piano la vittima e il carnefice, una vergona!”.
Nel tradizionale vizio statunitense dei “due pesi e due misure”,e con le università ormai al punto di ebollizione, Biden si è lanciato in una strenua difesa di Israele affermando che le azioni delle forze israeliane a Gaza non costituiscono un genocidio. Lo ha fatto non a caso durante un evento per il Jewish American Heritage Month alla Casa Bianca, ribadendo che Israele è stato vittima dell’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas, che ha provocato la morte di 1.200 persone e la presa di centinaia di ostaggi. Ovviamente omettendo i 750mila coloni che vivono armati nei territori palestinesi e i milioni i profughi costretti fin dal ’48 a lasciare manu militari le proprie case e le proprie terre, come pure i 2.200.000 che vivono compressi a Gaza (6mila abitanti per km2) in una sorta di campo per internati.
Biden ha sottolineato il supporto incrollabile degli Stati Uniti per la sicurezza di Israele e il suo impegno a sconfiggere Hamas, incluso il leader Yahya Sinwar. Ha anche menzionato che gli Stati Uniti stanno lavorando per ottenere la liberazione degli ostaggi ancora detenuti da Hamas, promettendo di non rinunciare a questo obiettivo. Inoltre ha chiesto un cessate-il-fuoco immediato a Gaza e ha respinto le affermazioni del procuratore della Corte penale internazionale riguardo ai presunti crimini di guerra commessi dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e dal suo capo della difesa.
Gli Stati Uniti hanno una posizione complessa nei confronti della Corte penale internazionale (CPI). Sebbene non siano membri dell’istituzione, spesso criticano o supportano le sue decisioni a seconda dei casi. Quando il presidente Joe Biden difende il premier israeliano Benjamin Netanyahu dalle accuse della CPI lo fa con finalità molto precise. Gli Stati Uniti hanno storicamente un forte rapporto con Israele: difendere Netanyahu potrebbe essere visto come un modo per mantenere e rafforzare questa alleanza, che è considerata cruciale per gli interessi geopolitici degli Stati Uniti in Medio Oriente. Inoltre gli Stati Uniti potrebbero temere che sostenere le accuse della CPI contro un leader alleato possa creare un precedente che potrebbe in futuro essere utilizzato contro i leader americani o altri alleati. Questo timore si basa sulla possibilità che decisioni simili potrebbero essere prese contro azioni militari o politiche degli Stati Uniti all’estero. Biden potrebbe anche cercare di navigare la complessa politica interna, dove il supporto a Israele ha una forte base sia tra i repubblicani che tra i democratici. Difendere Netanyahu potrebbe essere visto come una mossa per mantenere il sostegno di vari gruppi elettorali.