Cuba. Riforme economiche e una sola moneta da gennaio

di Paolo Menchi –

Nei giorni scorsi è arrivato dal presidente cubano Miguel Díaz-Cane un annuncio che si attendeva da anni: l’unificazione delle monete, che, dal primo gennaio, non saranno più due, ma resterà solo il peso cubano (CUP) con un cambio fisso di 24 pesos per dollaro Usa, mentre il CUC, introdotto nel 1994, verrà eliminato.
Attualmente il cambio delle due monete era teoricamente di 1 a 1 con il dollaro, ma per la popolazione servivano 25 CUC per avere un dollaro.
I cubani finora ricevevano gli stipendi e potevano acquistare prodotti utilizzando il peso cubano mentre, in teoria, il CUC era utilizzato solo nel settore turistico dagli stranieri.
La penuria di generi alimentari e altri prodotti, ha obbligato la popolazione ad andare a comprare nei negozi frequentati dai turisti, dove era possibile trovare quello che non era reperibile nelle loro rivendite, utilizzando il CUC, chiaramente con uno scarso potere di acquisto, visto il cambio.
Probabilmente le cose non si modificheranno molto dal lato pratico, ma sarà sicuramente più semplice verificare lo stato dell’economia nazionale utilizzando una sola moneta nella contabilità statale, anziché contabilizzare certe cose con una moneta ed altre con un’altra come avviene oggi.
Sono decenni che si legge delle difficoltà dell’economia cubana, soprattutto a causa del blocco imposto dagli Stati Uniti, in parte compensato, prima dagli aiuti dell’Unione Sovietica e poi, dopo il suo dissolvimento, della Cina ma, soprattutto, del Venezuela chavista che per anni ha praticamente regalato il petrolio, ma che ora soffre di una grave crisi economica e non può più offrire la stessa quantità di aiuti.
Il vero motore che ha permesso a Cuba di sopravvivere è sempre stato il turismo, sia per tutto l’indotto che ne deriva ma anche grazie, dopo le aperture al settore privato avvenute da circa dieci anni a questa parte, alle entrate di coloro che ospitano i turisti nelle loro “casas particulares” o nei loro ristoranti (paladar).
Ci sono poi molti cubani, i cosiddetti jineteros, che vivono solo attaccando discorso con gli stranieri per la strada e ricevendo mance in cambio di piccoli favori, come consigliare ristoranti, fornire prodotti artigianali o fare da intermediari per altri servizi più o meno leciti.
Tutte queste erano fonti importanti di guadagno, tanto che è facilmente riscontrabile un livello di vita medio più alto nelle zone turistiche della costa, piuttosto che nelle zone più interne, dove il turismo è solo di passaggio.
Ma il Covid quest’anno ha distrutto totalmente questa entrata e la situazione è ora veramente drammatica.
Dal 15 novembre è stato riaperto l’aeroporto dell’Avana, con un rigido protocollo che gestisce gli arrivi ed eventuali casi di positività ma, anche se la situazione a Cuba è sotto controllo, finché non si sistemerà a livello internazionale, difficilmente il turismo potrà tornare ai livelli ante pandemia.
Il provvedimento monetario annunciato dal presidente viene accompagnato da altre riforme economiche come quella dei salari e delle pensioni (ancora non ben specificata), e vengono inoltre bloccati i sussidi, lasciando centralizzato il prezzo solo di alcuni prodotti ritenuti basilari come elettricità e carburanti.
Il discorso del presidente si è concluso con la promessa che i cubani verranno informati su ogni misura economica intrapresa e che verranno ascoltati i suggerimenti, una frase che lascia molti dubbi, visto che si segnalano spesso episodi in cui il dialogo non sembra sia alla base del rapporto stato-cittadini.
Si segnalano arresti per motivi futili, come per non aver indossato la mascherina, aver fatto il bagno in zone proibite o per aver disegnato graffiti in case abbandonate: tutti segnali dell’alto livello di controllo che viene attuato.
Anche il piccolo movimento di San Isidro, nato due anni fa per contrastare una nuova legge che inaspriva la censura e composto da artisti, intellettuali e giornalisti, è stato colpito a fine novembre con lo sgombero della sede, dopo che avevano manifestato e indetto uno sciopero della fame contro l’arresto del rapper Denis Solis.
Essere riusciti a garantire l’accesso gratuito all’assistenza sanitaria e all’istruzione sono i grandi meriti della rivoluzione castrista che non è però riuscita a garantire condizioni economiche accettabili per la popolazione né il diritto al dissenso.
In un mondo sempre più piccolo, con il paese simbolo del consumismo che è a poche decine di miglia e che, attraverso internet o la tv satellitare, impone i suoi stili di vita, è sempre più difficile per i giovani accettare di vivere al di fuori di questo modello globale.
La speranza è che il nuovo presidente americano, Joe Biden, riveda le ulteriori chiusure imposte dal suo predecessore Donald Trump, arrivate dopo le piccole aperture di Obama, perché come sempre, gli embarghi servono solo a colpire gli strati più deboli della popolazione, e in Usa dovrebbero averlo ormai capito visto che questo “bloqueo” ultradecennale non ha intaccato minimamente il regime cubano.
Spesso l’embargo statunitense, per quanto pesante, è addirittura servito al regime come scusa per giustificare errori e scelte, è quindi arrivato il momento di normalizzare i rapporti tra i due paesi e lasciare che la storia faccia il suo corso.