di Giovanni Caruselli –
Nel vocabolario politico moderno ci siamo abituati a conferire un valore positivo tout court a concetti come libertà, democrazia e diritti vari, considerati come i fari che guidano i popoli naviganti nelle acque agitate della storia. In altre parole si è conferito ad essi un valore assoluto nel senso etimologico del termine, ovvero sciolto da ogni condizionamento. E si è anche dato per scontato che non ci possa essere alcun contrasto fra essi, con un atto di fede che sembra più di carattere religioso che razionale. La crisi più o meno planetaria che si vive in questo esordio del terzo millennio ci spinge a riflettere più accuratamente su queste sicurezze. Per la verità già alcuni preveggenti filosofi e romanzieri del Novecento avevano avuto il coraggio di mettere in discussione quest’ottimismo fideistico, ma solo oggi ci si può legittimamente porre degli interrogativi di questo tipo. Democrazia e progresso possono essere perseguiti nutrendo la certezza che non entreranno in conflitto? L’uomo postmoderno, come si usa dire, preferirà accettare una forma di servitù volontaria in cambio di ciò che crederà essere una moderata felicità? La libertà sempre maggiore di cui ciascun individuo potrà godere grazie ai mezzi tecnologici che gli si offrono, non sfocerà in un isolamento assoluto o nell’egoismo, nell’individualismo e nella sofferenza psicologica I ragazzi giapponesi e coreani che decidono di vivere la loro esistenza chiusi nella propria piccola stanza davanti allo schermo di un computer, che abbandonano solo per le ore di lavoro e quelle sempre più ridotte del riposo notturno, hanno a che fare in qualche modo con la tematica che affrontiamo? Il crollo demografico può essere connesso con una inconscia rinuncia al domani da consegnare ai propri figli?
Per la verità i grandi filosofi della Scuola di Francoforte, ovvero Max Horkheimer, Theodor Adorno, Herbert Marcuse, avevano già riversato nei loro saggi tutto il loro pessimismo riguardo al futuro della civiltà occidentale. Uscito dalle tenebre delle superstizioni prescientifiche magiche e religiose l’uomo moderno poteva guardare il mondo illuminato dalla ragione, ma si trattava di un mondo molto meno prodigo di vitalità e di serenità di quanto lo fosse stato per millenni. Nel 1947 Horkheimer e Adorno davano alle stampe “Dialettica dell’illuminismo”, un saggio che intendeva smascherare, sia pure parzialmente, le mistificazioni del mondo moderno: la scienza come strumento di dominio di pochi a danno di molti, l’industria culturale come mezzo di controllo delle masse, il progresso materiale privo di miglioramento morale dell’umanità, la tecnologia usata come strumento di dominio e di manipolazione.
In altre parole fra la ragione come facoltà di produrre conoscenza e la ragione come strumento di libertà si è sviluppato un conflitto che ha visto la vittoria della prima con il dominio incontrastato della tecnologia. Che cosa possiamo dire a più di settant’anni di distanza di queste cupe profezie? Certamente la tecnologia ci ha dato strumenti di libertà e di conoscenza impensabili in passato, oltre che una vita più lunga e confortevole. Ma i dibattiti in corso sull’intelligenza artificiale ci evidenziano l’emergere di ciò che più fa paura, ovvero l’imprevedibile. Associando ed elaborando miliardi di dati per gestire problematiche complesse, chi ci dice che l’intelligenza artificiale non ci conduca su strade di cui non conosciamo gli sbocchi?
Se l’intelligenza naturale non ci ha protetti da terribili errori di cui solo successivamente abbiamo appreso la portata, l’intelligenza artificiale potrebbe fare di meglio o di peggio? Non lo sappiamo, ma sappiamo che l’uomo apprende per esperienza e non per previsione, quindi bisognerà accettare il rischio come uno stato d’animo costante. E in ogni caso l’intelligenza artificiale farà crescere il potere di quella élite che lo possiede già e che tende a restringersi sempre di più. La scena trionfale della vittoria elettorale di Donald Trump che festeggiava sul palco con alle spalle gli uomini economicamente e tecnologicamente più potenti del pianeta non dà adito a interpretazioni particolarmente ottimistiche. In un mondo così complesso come può essere difesa la democrazia? Sembra di rincorrere una Ferrari con una bicicletta. Una democrazia senza sufficienti e generalizzate cognizioni dei meccanismi sociali in possesso delle masse sarà ancora possibile? Oppure è più logico pensare che lascerà spazio al populismo, come sembra accadere già da oggi? Un certa forma di divinizzazione dell’uomo guida delle mandrie umane è già presente. Trump ha dichiarato più volte di essere stato investito da Dio del compito di far tornare grande l’America. Benjamin Netanyahu, non è stato da meno rivolgendosi al popolo d’Israele. Putin ha interpretato pubblicamente il ruolo assegnatogli da Dio di difendere la Santa Russia dalla decadenza dell’Occidente. Modi in India parla con toni messianici dell’induismo come identità esclusiva del Paese. Siamo di fronte a una sorta di rivincita di Dio sulle ambizioni di una concezione completamente laica dell’esistenza, che può parlare di universalità dei valori ormai solo con una certa prudenza. Ne “L’esistenzialismo è un umanesimo” Jean P. Sarte, con la spietata lucidità che lo animava, a chi gli chiedeva previsioni sul futuro della civiltà occidentale rispondeva di poter parlare solo del presente, perché il futuro è fatto di illusioni più o meno basate sul presente, che possono avverarsi ma anche essere messe da parte. Siamo soli, senza punti di riferimento, senza universali che giustifichino le nostre presunte verità. Questo è il risultato di quella esaltazione della libertà dell’uomo per la quale si sono combattute infinite battaglie. E tuttavia ciascuno deve giocare le proprie carte perché un’umanità che non si progetta è un’umanità già morta.