di Giuseppe Gagliano –
Mentre il presidente Donald Trump solca il cielo del Medio Oriente per il suo primo viaggio ufficiale del nuovo mandato, gli Stati Uniti mandano un segnale chiaro: il Golfo resta una priorità strategica, e gli Emirati Arabi Uniti (EAU) un pilastro indispensabile. Il 12 maggio 2025, il Dipartimento di Stato ha annunciato l’approvazione di una vendita di armamenti ad Abu Dhabi per oltre 1,3 miliardi di dollari, un accordo che spazia da sei elicotteri CH-47F Chinook a componenti per i caccia F-16. Una mossa che non è solo commerciale, ma geopolitica, e che si inserisce in un mosaico di interessi che coinvolge tecnologia, intelligenza artificiale e il delicato equilibrio di potere nella regione.
L’accordo, dettagliato dall’Ufficio degli affari politico-militari del Dipartimento di Stato, include elicotteri pesanti Chinook prodotti da Boeing e motori Honeywell, per un valore di 1,32 miliardi, oltre a pezzi di ricambio e aggiornamenti per la flotta di F-16 degli Emirati, stimati in 130 milioni. Secondo il Pentagono, queste forniture rafforzeranno la capacità degli EAU di condurre operazioni di ricerca e soccorso, assistenza umanitaria, gestione di catastrofi e lotta al terrorismo. Ma il linguaggio ufficiale nasconde una verità più ampia: gli Emirati, con la loro posizione strategica e il ruolo di alleato fidato, sono un baluardo per gli interessi americani in un Medio Oriente sempre più instabile.
“Gli EAU sono un partner vitale per la stabilità politica e il progresso economico”, recita il comunicato del Dipartimento di Stato. Una stabilità che passa anche attraverso la difesa della sovranità emiratina, in un contesto regionale segnato dalle tensioni con l’Iran, la guerra in Yemen e la competizione con altri attori del Golfo, come il Qatar. Il Congresso ha ora 30 giorni per opporsi alla vendita, ma l’opposizione sembra improbabile: gli Emirati sono un cliente affidabile, e l’industria americana della difesa, con giganti come Boeing, trae enormi benefici da questi contratti.
La tempistica dell’annuncio non è casuale. Trump, accompagnato da una delegazione di peso che include il segretario di Stato Marco Rubio, il capo del Pentagono Pete Hegseth, il segretario al Tesoro Scott Bessent e il segretario al Commercio Howard Lutnick, è questa settimana in Arabia Saudita, Qatar e EAU. La visita, la prima all’estero del suo secondo mandato, è un’occasione per cementare alleanze e firmare accordi che vadano oltre il militare. Negli Emirati, il focus sarà sulla tecnologia, con un atteso annuncio sull’allentamento delle restrizioni alla vendita di chip per l’intelligenza artificiale, in particolare quelli di Nvidia, che Abu Dhabi corteggia da tempo.
Gli EAU, sotto la guida del presidente Mohammed bin Zayed, hanno puntato forte sull’IA, promettendo investimenti da oltre mille miliardi di dollari negli Stati Uniti in settori come tecnologia, energia e innovazione. L’accesso ai chip avanzati è cruciale per il loro obiettivo di diventare un hub globale per l’intelligenza artificiale, in competizione con Arabia Saudita e Singapore. Trump, pragmatico come sempre, sembra pronto a cogliere l’opportunità, usando la leva tecnologica per rafforzare i legami economici e militari con Abu Dhabi.
L’accordo sugli armamenti è solo una tessera di un puzzle più ampio. In Arabia Saudita, Trump firmerà contratti per la vendita di caccia americani, probabilmente F-15 o F-35, consolidando il ruolo di Riad come potenza militare regionale. Tuttavia, un programma civile di arricchimento nucleare, richiesto da tempo dai sauditi, non sarà sul tavolo, legato com’è alla normalizzazione dei rapporti con Israele, un dossier ancora lontano dalla soluzione. In Qatar, che ospita la base americana di Al Udeid e 10mila truppe, Trump celebrerà il ruolo di Doha come mediatore, cruciale nei negoziati per il cessate-il-fuoco a Gaza e nella liberazione di ostaggi americani da Hamas.
Gli Emirati però occupano un posto speciale. La loro capacità di bilanciare relazioni con Stati Uniti, Cina e Russia, senza mai alienare nessuno, li rende un attore unico. La vendita di Chinook e componenti per F-16 non è solo un affare: è un messaggio all’Iran, che guarda con sospetto l’asse Washington-Abu Dhabi, e un’assicurazione per gli Stati Uniti, che vedono negli EAU un contrappeso alla crescente influenza di Pechino nel Golfo. Non a caso, l’annuncio arriva mentre Trump cerca di ridisegnare la strategia americana in Medio Oriente, riducendo l’impegno diretto ma mantenendo una rete di alleati armati e tecnologicamente avanzati.
La vendita di armi agli EAU non è priva di rischi. Critici negli Stati Uniti potrebbero sollevare preoccupazioni sul record di Abu Dhabi in materia di diritti umani, in particolare per il coinvolgimento nella guerra in Yemen, anche se gli Emirati hanno ridotto il loro ruolo attivo. Inoltre, l’apertura sui chip per l’IA potrebbe alimentare tensioni con altri alleati, come Israele, che teme la proliferazione di tecnologie avanzate in mani arabe. Ma per Trump, il calcolo è chiaro: il Golfo è un mercato e un alleato troppo importante per essere trascurato, e gli Emirati, con la loro ambizione e le loro risorse, sono il partner ideale per un’America che vuole tornare a dettare le regole.
Mentre Tripoli brucia e Gaza soffre, il Medio Oriente rimane un crocevia di crisi e opportunità. La vendita di armi ad Abu Dhabi è un tassello di una strategia che guarda al futuro, dove la tecnologia e il potere militare si intrecciano in un gioco di alleanze sempre più complesso. Trump, con il suo fiuto per gli affari, lo sa bene: nel Golfo, ogni contratto è una mossa sulla scacchiera globale.