Ecuador. Un voto tra le “piaghe d’Egitto”

di Francesco Giappichini –

Polemiche per la volontà governativa di riaprire il territorio nazionale alle basi militari straniere. Fallimento dei tentativi di contrastare efficacemente il narcotraffico, nonostante l’arresto, a Tarragona in Spagna, dei capi del gruppo criminale “Los Tiguerones”. I blackout programmati, estesi sino a 14 ore al giorno. Una siccità, conseguenza del cambio climático, che è tra le principali cause delle interruzioni di corrente. Il conflitto tra il candidato presidenziale e presidente uscente Daniel Noboa, e la vicepresidente Verónica Abad. Incendi boschivi che da agosto hanno annientato 23mila ettari di foresta. E un esodo migratorio che non dà cenni di rallentamento, e che vede l’Italia come terza destinazione finale, dopo Stati Uniti e Spagna.
Sono questi i drammi, vere e proprie “piaghe d’Egitto”, che faranno da sfondo al voto presidenziale in Ecuador del 9 febbraio 2025. Con la possibilità, per la verità molto concreta, che si vada al ballottaggio, previsto il 13 aprile. Infatti il candidato può vincere al primo turno solo se supera il 50% dei voti validi, o se passa appena quota 40, e al contempo riesce a distanziare di almeno il 10% il principale sfidante. Favorito è il capo dello stato neoliberista Noboa, che guida la formazione di destra Acción democrática nacional (Adn), ed è reduce da una gestione più breve, ridotta: la vittoria alle presidenziali suppletive di agosto 2023 gli ha permesso di completare il mandato del predecessore moderato Guillermo Lasso, coinvolto in fatti di corruzione.
Noboa si è insediato nel Paese con il più alto tasso di omicidi in America latina: ha reagito a ciò elevando il contrasto alla criminalità al livello di «conflitto armato interno», e annunciando lo stato di emergenza. Il Paese tuttavia non è pacificato, né si è risollevato economicamente, e il presidente ha subito un sensibile calo dell’indice di gradimento. La principale avversaria sarà la progressista Luisa González: si profila una riedizione delle «elecciones extraordinarias» del ’23, in cui Noboa prevalse al ballottaggio per un soffio. González, leader del Movimiento revolución ciudadana (Rc), è considerata la più autorevole rappresentante in patria del correismo: il movimento politico e ideologico fondato dall’ex presidente Rafael Correa.
Intanto il fronte delle sinistre denuncia pressioni mediatiche e giudiziarie, da parte delle élite che si identificano con l’amministrazione in carica. A ricoprire il ruolo di terza forza sarà il conservatore Jan Topić del Partido Suma (Partido Sociedad unida más acción), che si candidò nel ’23, quando si classificò quarto. Secondo gli analisti, in quest’occasione potrebbe ottenere un buon risultato, e dividere il fronte delle destre: da un lato, puntando sul tema della sicurezza, potrebbe sfruttare gli insuccessi di Noboa in fatto di ordine pubblico. E poi non sarebbe ostacolato dall’effetto sorpresa di cui nel ’23 seppe beneficiare il capo dello stato. Non solo per la giovane età (Noboa è il più giovane presidente nella storia del Paese), ma anche per lo status sociale ed economico: il padre Álvaro Noboa, magnate del settore bananiero e l’ecuadoriano più ricco negli Anni novanta, ha partecipato tre volte al ballottaggio presidenziale, (risultando però sempre sconfitto).
Osserviamo però i sondaggi. Secondo un’inchiesta della Consultoría interdisciplinaria en desarrollo (Cid) Gallup, Noboa raggiungerebbe il 31% del totale delle intenzioni di voto (non solo dei voti validi), mentre González lo segue col 26 per cento. Come accennato, al terzo posto si confermerebbe Jan Topić, che assicura di aver combattuto al fianco di Kiev, durante l’invasione russa dell’Ucraina del 2022. Gli viene accreditato un buon 15%, che in un ipotetico secondo turno dovrebbe beneficiare il presidente. Se invece andiamo a osservare le difficoltà e i dilemmi che faranno da scenario alle presidenziali, dobbiamo iniziare dall’attualità. Ebbene Noboa ha espresso la volontà di revocare il divieto all’installazione di basi militari straniere.
A breve sarà presentato un progetto di riforma costituzionale, per eliminare una proibizione che fu sancita, su impulso di Correa, dalla Costituzione in vigore (del 2008). Un’offensiva, da parte di Noboa, anche sul piano della comunicazione: questi ha fortemente criticato l’antica decisione del governo Correa (trasposta poi a livello costituzionale) di non rinnovare l’accordo con gli Stati Uniti, che consentiva alle forze nordamericane di operare nella Base di Manta. L’Esercito statunitense vi rimase così tra novembre 1999 e il 2009. «Volevano dire che in questo modo avremmo recuperato la sovranità dell’Ecuador e quello che hanno fatto è stato consegnarla al narcotraffico», ha affermato il presidente.
Inevitabili gli attacchi da sinistra, in primis da Correa. E poi, a incombere sul voto, sarà la questione della violenza criminale. Sì, il narcotraffico ha subito un duro colpo solo pochi giorni fa, quando William Joffre Alcívar Bautista detto “Comandante Willy”, e suo fratello Álex “Ronco” Iván, sono stati arrestati in Catalogna. Anche perché i due malviventi, leader dell’organizzazione “Los Tiguerones”, avevano guidato il noto assalto alla Tc televisión (Televisión canal televisión), che ha segnato la svolta nella lotta al narcotraffico. Tuttavia la violenza rappresenta ancora una minaccia, né si è fatta completa luce sull’assassinio del candidato Fernando Villavicencio – attribuito al gruppo Los Lobos – i cui sette esecutori materiali sono stati uccisi in carcere.
Senza considerare lo shock che tuttora vive il Paese per l’omicidio (nel marzo ’24) della 26enne Brigitte García di Rc: il più giovane sindaco dell’Ecuador guidava il Comune di San Vicente. A ciò si aggiunge la decisione governativa di estendere il razionamento energetico: le interruzioni di erogazione dell’energia elettrica passeranno da otto a 14 ore al giorno. La titolare del Ministerio de Ambiente, agua y transición ecológica (Maate), Inés Manzano, ha puntato il dito contro la siccità estrema e il cambiamento climatico. E tuttavia molti esperti fanno notare la mancanza di investimenti e di lungimiranza, da parte delle autorità; colpevoli, secondo loro, della mancata manutenzione delle centrali termoelettriche, e di non aver costruito impianti alimentati da energia rinnovabile. A completare il quadro, la rottura tra il capo di stato e la vicepresidente Verónica Abad, che da dicembre ricopre anche l’incarico di ambasciatore in Israele. Noboa, secondo la legge, dovrebbe sospendersi dalle funzioni 45 giorni prima del voto, e lasciare il posto alla vice. Abad ha però denunciato di subire pressioni da Noboa per dimettersi dall’incarico, e di essere oggetto di una persecuzione politica, culminata con l’arresto del figlio per traffico d’influenze. Il conflitto tra i due non sarebbe ideologico, ma frutto della volontà accentratrice di Noboa, che ha delegato alla vice il solo compito di presiedere alle iniziative di pace, nel quadro del conflitto israelo-palestinese.