Editoriale. La democrazia… offshore

di Gianvito Pipitone

Si suppone che chi abbia investito l’intera carriera politica nell’idea dello Stato e nelle istituzioni che esso rappresenta, siano gli stessi politici che lo guidano o che lo hanno guidato e lo abbiano, fra le altre cose, aiutato a rimanere nazione: capi di stato, politici di “alto bordo”, “primari e servitori dello Stato”, per citare il poeta. Si suppone (sempre) che queste figure politiche apicali abbiano lottato e lavorato duramente per arrivare al comando, non solamente per sete di potere, per indubbio prestigio e per probabili tornaconti economici. Ma anche perché a quello Stato hanno promesso di dare, di spendersi e di impegnarsi a migliorarlo. Si suppone che chi abbia raggiunto il vertice delle istituzioni, e lo abbia fatto utilizzando (alla noia) la retorica dello Stato e della nazione e dei propri confini, le bandiere e gli inni, alla ricerca di eroi e miti fondanti, debba di pari passo accordarsi un minimo fra: le promesse, specie a quelle fatte in campagna elettorale, e i fatti che invece le hanno seguite.

A codesti signori si chiede almeno che sappiano fingere di avere fiducia nelle leggi e nei provvedimenti che loro stessi hanno promulgato o di cui sono stati attenti custodi; e che siano dotati un minimo di quella consistenza morale, non tanto per genuino convincimento, né per fermezza di carattere (qualità rare da trovarsi in un politico), quanto per pura dignità, che è il minimo che ci si può aspettare da un presidente, un capo di stato o un ministro. Detto questo, per quale motivo centinaia di politici di mezzo mondo si sono scoperti così poco rispettosi di fronte al proprio paese d’origine, affaccendandosi a nascondere fiumi di denaro altrove? sfidando di fatto il pubblico ludibrio?

Sono più di trecento (300!) i politici di alto bordo trovati recentemente con le mani invischiati nella marmellata. È quanto ci consegnano i Pandora Papers, ultimo regalo dell’International Consortium of Investigative Journalists. Sempre sia lodato. Si tratta, ne abbiamo già parlato, di una gigantesca fuga di dati che rivela le macchinazioni offshore degli individui più potenti e ben collegati del mondo. L’elenco include i soliti sospetti, come i membri dell’entourage di Vladimir Putin e la squallida figura di Tony Blair. Ma c’è anche l’ex primo ministro della Repubblica Ceca Andrej Babis, recentemente disarcionato dalla guida del suo paese. Il presidente del neo Stato del Montenegro Milo Djukanovic, che sembra si sia ingegnato a costruire una complicata rete di società per fare perdere (inutilmente) le tracce del proprio surplus. E ancora il presidente del Cile Sebastian Pinera, uno degli uomini più ricchi del paese che sfruttava compagnie offshore nelle Isole Vergini per favorire gli affari dei propri congiunti. Fino al re di Giordania, Abdullah II bin al-Hussein, fra gli esponenti più saldamente in sella nell’incerto panorama medio-orientale, che pare abbia acquistato case per un valore di oltre 100 milioni di dollari negli Stati Uniti attraverso dozzine di società di comodo.

La domanda sorge dunque spontanea: se nemmeno un re medio-orientale (incistato nel potere) si premura di mettere i propri soldi laddove si trova il proprio Stato e i propri interessi, ossia il frutto della propria creatura politica, non ne dovremmo dedurre a questo punto che sia l’idea stessa di Stato-nazione a risultare ormai definitivamente morta e sepolta? Fino ad una decina di anni fa, il ricorso ai paradisi fiscali si sarebbe potuto spiegare (ma non giustificare) forse con l’ipocrita luogo comune sulla “inevitabilità della globalizzazione”. Fino al 2008 almeno, annus horribilis della finanza mondiale, ci si sciacquava la bocca con la prosopopea sulla globalizzazione, di un mondo a portata di click, “senza confini”. Chi non ricorda le espressioni “Europa senza confini, senza dogane, senza dazi, libera circolazione di merci, di risorse, di uomini” e ovviamente “di capitali”. Già, il Capitale, quello che ha sempre fatto il bello e il cattivo tempo, che segue le leggi del solo Mercato e che non può – come ci hanno insegnato – “essere limitato e mortificato da uno stato nazionale troppo pignolo, troppo controllore, troppo geloso dei propri contribuenti”. O no?

La verità si nasconde al solito nei dettagli. Per i comuni mortali, ossia la maggior parte delle persone, con o senza Covid-19, i confini invece sono sempre stati là, strettamente controllati, difficile da varcare; così come rimane ancora impossibile per una persona “comune” scegliere in quale paese vivere. Per intenderci: la maggior parte delle persone non è libera di mettere i propri risparmi in società controllate da un trust che non pagherà mai le tasse a nessuna comunità. Questo perché, le persone normali, ossia la stragrande maggioranza, vivono in un mondo fatto di “confini e nazioni”, gestiti da coloro che, invece, a quanto pare, non ne hanno affatto. Semplicemente detto. Pertanto, oligarchi, criminali e ricchi della terra possono gestire indisturbati i loro loschi affari con sufficienza e serenità, perché, sotto la luce del sole, il mandato degli elettori dà loro la libertà di gestire il paese: anche se, piccolo particolare, non quella di arricchirsi alle loro spalle. Ma questo appare solo un dettaglio.

Quello che non è dato di sapere è per quanto tempo i cittadini, distratti o fintamente ingenui per proprio tornaconto, siano ancora disposti ad accettare questa sorta di Hybris Istituzionalizzata, per la gestione a dir poco “parassitaria” della Res Pubblica. L’impressione è che la miccia si faccia via via più corta e un’esplosione da un momento all’altro potrebbe minacciare davvero di far saltare in aria l’intero Sistema. Basta per un attimo guardare a fondo la “società costituita” nella sua veste più crudele, quella di strumento di oppressione in mano alle classi dirigenti e corporative, fatte su misura per dividere e conquistare gli altri, e il gioco è fatto.

Bisognerà stare in campana, in un futuro prossimo, che ci piaccia o no sentirlo dire. Dopotutto, le rivoluzioni e i sommovimenti di piazza, a destra come a sinistra, sono tutte passate da questo punto di rottura: la Piazza contro il Potere, quando quest’ultimo viene percepito come Tiranno. Manco a dirlo, data la complessità e la vastità dell’argomento, il rischio è proprio quello di prestare il fianco ad un certo populismo, di matrice complottista. Pericolosissimo, visti i recenti trascorsi. Se l’attuale classe politica vuole davvero salvare la faccia, oltre che la poltrona e un minimo di credibilità, al di là dell’uso scellerato di facili slogan a vantaggio di politiche spesso considerate “specchietto per le allodole”, si dovrà far carico invece di un cambiamento di paradigma a 360 gradi. Fra le cose più urgenti, da non trascurare un provvedimento ad hoc per azzerare le discrepanze fra le leggi delle nazioni sovrane, mettendo fine cioè alle scandalose economie offshore.

E bisognerà fare in fretta, correre presto ai ripari, se ancora la Politica vuole mettere in salvo i principi democratici. In caso contrario, potrebbe non esserci più margine di manovra. E non è difficile, di questi tempi, immaginare una democrazia a rischio di credibilità che si consegni mani e piedi al populismo più vieto.