Egitto. L’attacco nel Sinai: un segnale di Israele a Morsi?

di Saber Yakoubi –

Sono molte le ipotesi e le spiegazioni che si danno per quanto accaduto domenica scorsa al confine fra l’Egitto ed Israele e già da ora gli esperti egiziani hanno affermato senza remore che dietro all’attacco che ha portato all’uccisione di 16 guardie di confine ed al ferimento di 7 vi è la mano di Israele.
In particolare gli analisti hanno parlato degli evidenti interessi da parte di Tel Aviv nello destabilizzare l’area e quindi fare del Sinai una zona neutrale, tant’è che, come hanno fatto notare gli esperti egiziani, nei giorni scorsi lo stesso Netanyahu aveva invitato gli israeliani a non recarsi in Egitto ed ancor più a non soffermarsi nella zona del Sinai.
Il direttore del Centro di studi palestinesi, Ibrahim Drawi, ha fatto sapere che quanto accaduto è il tentativo di spingere la nuova classe dirigente egiziana a lavorare contro la causa palestinese e quindi di far sfumare la strategia collaborativa con la Palestina enunciata da Morsi.
Per l’esperto militare egiziano Tarek Hariri l’appello lanciato da Benjiamin Netanyahu poco prima dell’attacco era tutt’altro che innocente e ciò evidenzia il legame fra intelligence, premier e quanto accaduto al confine domenica scorsa. 
Il concetto che Israele vuol far passare è che i confini sono insicuri, cosa che dovrebbe servire a far tacere in Egitto la volontà di arrivare ad una revisione del trattato di Camp David del 1978, firmato da al-Sadat, che ha reso il Sinai una zona caldissima dove passa di tutto, dalle bande armate ai trafficanti di esseri umani, dagli spacciatori ai militari dei Servizi segreti di mezzo mondo.
Secondo Tarek Fahmi, altro esperto di politica israeliana, Tel Aviv ha attivato nelle 24 ore antecedenti i fatti di confine diverse misure di sicurezza, cosa che era successa anche nel 2005 in occasione degli attentati di Sharm el Sheik e di Taba: nelle zone vi erano circa 35mila israeliani, tutti informati per tempo di ciò che da lì a poco sarebbe successo e per i quali era stata aperta la frontiera di Karam Anu Salem. Secondo Fahmi, Israele avrebbe la necessità di ottenere fra i 5 ed i 10 chilometri di Sinai ed a questo scopo vorrebbe vi fossero pressioni esercitate sull’Egitto da parte della Comunità internazionale. Potrebbe inoltre arrivare a chiedere uno snellimento del contingente egiziano nel Sinai e quindi la possibilità di sorvolare la penisola con i propri aerei.
Per Kamel Habib, esperto di questioni islamiche, il Sinai è un’area in cui vi sono diverse brigate islamiche, le quali hanno da sempre visto l’Egitto come un impostore e protettore degli interessi di Israele ed oggi come un elemento determinante della scena politica dell’area.
A differenza degli altri, Habib non mette in relazione l’avviso di Netanyahu con l’attacco di domenica e piuttosto punta sulle numerose bande armate che transitano da quelle parti e che facilmente si prestano ad attentati del genere.
Un ulteriore elemento è dato dall’atteggiamento di apertura dell’Egitto di Morsi nei confronti di Hamas e dei vari leader, cosa per cui Israele ha voluto lanciare un segnale ben preciso.