Europa: il “dividi et impera” di Trump. E Stoltenberg prepara l’allargamento della Nato a est

di Dario Rivolta * –

È naturale che ogni Stato sovrano persegua il proprio interesse, anche se dovesse essere a discapito di quello altrui. Nessuno deve stupirsi quindi che nella sua visita ufficiale a Londra il presidente Usa Donald Trump abbia sostenuto la Brexit preannunciando che gli Stati Uniti sono pronti ad accordi commerciali bilaterali di massimo favore con la Gran Bretagna. Notoriamente, il suo stile personale è grossolano e digiuno di sotterfugi diplomatici e si è anche permesso di invitare i britannici a non pagare nemmeno quanto dovrebbero restituire all’Unione Europea. Ha perfino aggiunto che, al loro posto, avrebbe fatto causa a Bruxelles.
A parte lo stile, non c’è nulla di nuovo. Gli Stati Uniti, da sempre, non vogliono un’Europa forte e veramente unita: la preferiscono divisa, debole, e il più possibile dipendente dagli Usa. Ciò che è cambiato con la nuova presidenza è la tattica, non il fine ultimo. Per essere sicuri di garantirsi ciò che realmente volevano, i suoi predecessori avevano appoggiato l’ingresso del Regno Unito nell’Unione, sapendo che così sarebbe stato molto più difficile un “approfondimento” delle Istituzioni europee. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, e sparito il pericolo che obbligava l’Europa occidentale a contare del tutto sugli Stati Uniti, introdussero nuovi ostacoli a una possibile “emancipazione” degli europei e spinsero per un precipitoso “allargamento”, con gli inglesi, ovviamente, al loro fianco. Si inventò un nuovo, seppur improbabile, “pericolo russo” e l’operazione fu fatta in fretta e furia. I tedeschi, attirati dalla cupidigia di acquisire mercati nuovi e a portata di mano per le proprie merci, ci cascarono e assecondarono la manovra. Il risultato: anziché incamminarci verso un’Unione più coesa ed efficiente ci portammo in casa dei Paesi che, dietro lo schermo di una presunta ricerca di sicurezza, miravano agli enormi finanziamenti che Bruxelles avrebbe concesso e che infatti elargì.
Nel perseguire il proprio interesse e avanzare proposte a Paesi terzi, gli Stati utilizzano solitamente la narrazione di accordi win-win (vedi cosa fa la Cina), ma Trump non lo ritiene nemmeno necessario e dichiara spudoratamente i suoi veri obiettivi. I suoi fedelissimi fanno lo stesso (e come potrebbero altrimenti?) e lo si vede ogni giorno. Un giornale spagnolo molto diffuso, El Pais, ha riferito di un incontro avvenuto il 22 maggio a Washington tra i rappresentanti dell’Unione Europea e Michael Murphy incaricato dalla Casa Bianca dei rapporti con Bruxelles. Forse sopravvalutando i progetti enunciati dalla nostra Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO) in teme di sicurezza e difesa europea, il Murphy non ha esitato ad affermare che qualora l’Europa pensasse di sviluppare dei propri sistemi d’arma e diminuisse l’acquisto degli armamenti americani, non ci si può aspettare che gli USA, NATO o non NATO, contribuiscano ad una difesa contro l’eventuale nemico russo. Per essere più incisivo ha ricordato che la Russia ha “confini fisici con l’Unione Europea e rappresenta una minaccia diretta per i Paesi membri”. Ha poi aggiunto che “qualsiasi crisi importante in Europa necessiterà di un intervento da parte di USA, Canada, Regno Unito e Norvegia “e l’aiuto potrebbe non arrivare se piani militari della Ue porteranno al fatto che le loro armi “non potranno lavorare insieme”. Tralasciamo pure il fatto di un funzionario americano che parla di altri tre Paesi (tra cui due europei) come fossero colonie subalterne, balza tuttavia agli occhi la volontà americana di proteggere la vendita di armi prodotte dalle proprie industrie a discapito di quelle europee.
L’obiettivo di impedire la costruzione di una vera Unione in Europa non è però l’unico che riguarda il Vecchio continente. Ciò che gli Usa ritengono sia assolutamente da evitare è una potenziale sinergia tra il know-how delle industrie europee e l’abbondanza di materie prime presenti sul territorio russo. Anche in questo caso, non c’è nulla di nuovo sotto il sole.
Fino a che il mondo fu diviso in due blocchi ideologici contrapposti il rischio era inesistente o comunque minore. Dopo il ’91, una possibile collaborazione economica stretta tra gli europei e la Russia diventava più probabile e chi avrebbe potuto soffrirne era la primazia mondiale americana. Fu quindi necessario, in ogni modo e a tutti i costi, creare delle barriere che impedissero quell’avvicinamento e una delle possibilità era di convincere tutti che la Russia costituisse ancora un vero pericolo. Con l’aiuto interessato di baltici, polacchi, la solita Gran Bretagna e l’aggiunta degli svedesi, non è stato difficile inventarsi una presunta aggressività di Mosca e Bruxelles si è facilmente convinta a lanciare il cosiddetto “partenariato orientale”. Contemporaneamente, si facevano entrare nella NATO Stati posti al confine della Russia stessa. Per essere più sicuri che tutto funzionasse come voluto, si organizzarono un po’ di “rivoluzioni colorate”, naturalmente “spontanee”, e il tutto passò come la “necessità” di dover “contenere“ l’aggressività di Mosca. Poco importa che, anche se lo volesse, il Cremlino non ne avrebbe né l’interesse né la capacità, ciò che conta è provocare Mosca spingendola a reagire in qualche modo e garantire così una costante atmosfera di instabilità e di incertezza nell’area.
Il disegno va però nutrito continuativamente e per farlo si presta anche il segretario generale della NATO, il norvegese Stoltenberg, che finisce con l’essere più un portavoce degli interessi americani che della NATO nel suo insieme. Recentemente, in occasione di manovre militari congiunte con l’esercito locale, è stato in Georgia dove ha ribadito l’intenzione di far diventare membri dell’Alleanza sia la Georgia che l’Ucraina. È chiaro per tutti che il possibile ingresso di questi due Paesi nella NATO sarebbe giudicato inaccettabile da Mosca, tant’è vero che il vice ministro russo per gli Affari esteri, Alexander Grushko, ha definito questa ipotesi “un terribile errore strategico” che potrebbe causare “le più serie conseguenze” per la pace e la sicurezza in Europa.
Già Bush ci aveva provato durante un incontro NATO a Bucarest ma, allora, l’operazione fu fermata dall’opposizione di Francia e Germania che ebbero ben chiaro come un atto del genere avrebbe significato la rottura senza ritorno dei rapporti con Mosca. Anche in seguito, il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier aveva affermato che “Io vedo una relazione di partenariato tra l’Ucraina e la NATO, ma non il suo ingresso nell’Organizzazione”. In maniera informale, e più volte, anche i Ministri degli Esteri di altri Pasi europei, tra cui l’Italia, hanno manifestato contrarietà all’ipotesi ma, come se niente fosse, Stoltenberg nella conferenza stampa a Tbilisi ha dichiarato che “A Bruxelles, Tutti i leader della NATO hanno riconfermato la decisione presa a Bucarest nel 2008 che la Georgia diventerà un membro della NATO”. Per completare il quadro ha anche aggiunto che la NATO, cioè lui o i suoi veri mandanti, pretende che la Russia restituisca l’Ossezia del nord e l’Abkhazia alla Georgia e la Crimea all’Ucraina. Ognuno sa, compreso Stoltenberg, che ciò non succederà mai per una miriade di motivi, tra cui il principio dell’auto-determinazione dei popoli concordato a Helsinki nel lontano 1975. E allora perché affermarlo, se non per tenere acceso il contenzioso?
Lo ripetiamo: è legittimo e comprensibile che ogni Stato persegua i propri interessi ed è naturale che gli Stati Uniti vogliano garantire a sé stessi quella supremazia mondiale che hanno saputo conquistarsi. Da europei dovremmo però chiederci fino a che punto e quali degli interessi americani coincidano con i nostri. Abbiamo un nuovo Parlamento europeo e, tra poco, una nuova Commissione. Si porranno la domanda?

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.