di Giuseppe Gagliano –
Gli usa hanno dispiegato in questi giorni il sistema missilistico Typhon nelle Filippine, in quella che è una mossa strategica significativa nel contesto delle dinamiche di potere nell’Indo-Pacifico. Il Typhon, capace di lanciare missili Tomahawk e SM-6, è stato inizialmente introdotto durante le esercitazioni militari congiunte nel 2024 e successivamente ridispiegato all’interno dell’isola di Luzon per testarne la mobilità e l’efficacia in scenari operativi diversificati. Questo cambiamento di posizione non solo serve a valutare la resilienza del sistema in situazioni di conflitto ma anche a dimostrare la capacità degli Stati Uniti di proiettare potenza in modo flessibile e rapido, una caratteristica cruciale in una regione caratterizzata da tensioni crescenti.
L’iniziativa è vista come un rafforzamento dell’alleanza tra Stati Uniti e Filippine, specialmente dopo l’adozione di una politica estera più assertiva da parte del presidente filippino Ferdinand Marcos Jr. contro le rivendicazioni territoriali cinesi nel Mar Cinese Meridionale. La presenza del Typhon serve come deterrente contro le ambizioni di Pechino nella regione, segnalando che gli Stati Uniti sono pronti a sostenere militarmente i loro alleati nel proteggere i loro diritti marittimi. Tuttavia, questa azione ha suscitato critiche da parte di Cina e Russia, che vedono il dispiegamento come una provocazione che potrebbe innescare una corsa agli armamenti, destabilizzando ulteriormente la regione.
Strategicamente il Typhon offre alle Filippine la possibilità di estendere la loro capacità di difesa fino a 200 miglia nautiche, coprendo un’ampia porzione del loro spazio marittimo e contribuendo alla protezione delle risorse e delle rotte marittime. Questo sistema, se integrato nelle forze armate filippine, potrebbe migliorare significativamente la loro capacità di rispondere a minacce navali, anche se l’acquisizione definitiva del sistema dipenderà da considerazioni economiche e dal tempo necessario per l’implementazione, stimato in almeno due anni.
Il dispiegamento del sistema serve anche come un test per la cooperazione bilaterale tra USA e Filippine, dimostrando come questa partnership possa evolversi verso una collaborazione più avanzata e tecnologicamente sofisticata. Il trasferimento non implica una permanenza definitiva, come sottolineato dal comandante dell’Indopacom, Matthew Comer, ma piuttosto una dimostrazione di flessibilità e di capacità di risposta rapida, che è fondamentale per affrontare le dinamiche mutevoli delle minacce regionali.