Gaza. Trump punta al premio Nobel, ma il suo piano è monco: manca la Palestina

di Dario Rivolta * –

Sappiamo che il presidente Usa Donald Trump ha un forte ego e ama attribuirsi soluzioni miracolose per le situazioni politiche ed economiche più complicate che altri non hanno saputo risolvere. Chi ha potuto ascoltare la conferenza stampa che ha tenuto con il primo ministro israeliano Netanyahu avrà notato come il Tycoon abbia sottolineato almeno due volte che la crisi in Medio Oriente, che dura da almeno duemila anni abbia, grazie a lui, finalmente trovata una risposta positiva e definitiva. Gli ostaggi a Gaza saranno liberati entro 72 ore, l’esercito di Israele si ritirerà dalla Striscia in successive ondate, un nuovo governo provvisorio che lui stesso coordinerà gestirà il mantenimento dell’ordine e dei servizi essenziali, mentre la ricostruzione programmata consentirà a tutti i palestinesi del posto di ritornare (se lo vorranno) nel loro territorio. Un’aggiunta molto importante, che ha giustamente tenuto a evidenziare, ha riguardato il fatto che tutti i Paesi arabi e musulmani hanno concordato sul piano di pace da lui proposto e collaboreranno alla futura gestione dell’area.
Il tono e le parole usate sono state scelte sicuramente in accordo con Netanyahu, che ha confermato tutto quanto detto dal presidente. Mentre Trump non ha fatto alcun accenno alla questione della Cisgiordania affollata da coloni israeliani abusivi, il primo ministro ha ribadito che la nascita di uno Stato palestinese è inaccettabile, poiché costituirebbe un costante pericolo per la sicurezza di Israele.
Che la possibile soluzione negoziata del conflitto a Gaza, così come presentata, sia un’ottima cosa e perfino il massimo ottenibile vista la situazione attuale, resta indiscutibile. Che ciò rappresenti la risposta definitiva ai conflitti medio-orientali e sistemi una diatriba secolare è, tuttavia, una grossolana millanteria basata sul nulla. Diamo pure per buona l’idea che uno Stato di Palestina possa rappresentare un pericolo per la sopravvivenza dello stesso Israele, ma come la si mette allora con tutti i palestinesi che oggi vivono in Cisgiordania? Non sono decine, né centinaia, bensì milioni di persone a molti dei quali è stata sottratta con la forza bruta la terra che coltivavano e le case in cui abitavano. Anche chi di loro ancora può vivere del proprio raccolto e abitare nella propria casa come si organizzerà? L’ANP è screditata ma, pure se non lo fosse, quale governo potrebbe gestire una regione con pezzettini di terra distribuiti a macchia di leopardo e con difficoltà di collegamento tra l’uno e l’altro?
A tutti noi piacerebbe che quanto detto in conferenza stampa a Washington costituisca davvero la fine dei secolari problemi tra ebrei e arabi in quelle terre, ma qualche dubbio non minore rimane. Il problema della convivenza tra ebrei e musulmani non è mai esistito nella storia. A differenza di ciò che hanno fatto i cristiani verso i seguaci di Abramo attraverso pogrom, emarginazioni, persecuzioni ed esilio forzato, gli Stati a maggioranza musulmana li hanno sempre accolti pacificamente e la coesistenza delle due religioni sullo stesso territorio non ha mai creato problemi di alcun genere, tanto è vero che quando gli ebrei furono cacciati dalla Spagna cattolica, la maggior parte di loro trovò rifugio e benessere proprio ove a comandare erano i musulmani. Il vero problema è cominciato solo quando i sionisti hanno preteso la creazione dello Stato di Israele e l’ONU ne ha stabilito la nascita formale. Fu allora che, nonostante l’Arabia Saudita in un primo momento e su pressioni inglesi accettasse quella decisione, gli Stati arabi della zona si ribellarono e iniziò la prima delle sanguinose guerre tutte poi vinte da Israele.
Con gli Accordi di Abramo era sembrato che ci si incamminasse verso una soluzione pacifica ma il problema dei palestinesi era rimasto in sospeso in attesa di (im)possibili nuovi sviluppi. Perfino Riad si stava preparando ad aderirvi, e probabilmente gli attacchi di Hamas del 7 ottobre furono scatenati proprio per impedirlo. La comprensibile reazione israeliana ha rimesso in discussione persino quell’Accordo già raggiunto rendendo impraticabile la sua continuazione. Ora, se veramente finirà la carneficina di Gaza con l’intesa tra tutti gli Stati coinvolti, gli Accordi di Abramo potrebbero anche rinascere e allargarsi. Non va tuttavia sottovalutato il fatto che né a Washington né a distanza, alcun rappresentante dei palestinesi sia stato direttamente coinvolto.
Dire quindi, come hanno fatto in conferenza stampa, che si “apre una storica pace definitiva” per tutto il problema medio orientale può essere utile a un Trump che pretende di ottenere il premio Nobel per la pace, ma a chi osserva con obiettività i fatti sembra una vanteria più che esagerata. Forse, se non ci saranno colpi di coda di Hamas (destinata ad auto-annullarsi, cioè “suicidarsi”, secondo le intese annunciate da altri) la popolazione di Gaza potrà tirare un sospiro di sollievo, ma come la metteremo con l’insieme di tutti i palestinesi e della Cisgiordania in particolare?

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.