di Giuseppe Gagliano –
Un patto annunciato con enfasi da Donald Trump come “storico”, ma che in realtà segna più un armistizio tariffario che una vera svolta nelle relazioni commerciali transatlantiche. L’intesa raggiunta l’8 maggio tra Stati Uniti e Regno Unito allevia i dazi su automobili, acciaio e alluminio, lasciando però intatto il 10% di tariffe globali imposte da Trump nel 2025. Un accordo che, nonostante i toni trionfalistici, rivela le crepe di una partnership in cerca di identità post-Brexit.
Cuore del negoziato è il settore automobilistico, con Londra che esporta negli USA veicoli per 9 miliardi di sterline l’anno. La riduzione dal 27.5% al 10% dei dazi per le prime 100mila unità è un sollievo per Jaguar Land Rover, ma il tetto imposto rischia di diventare un boomerang: superata quella quota, le tariffe schizzano al 27.5%, di fatto congelando la crescita del mercato. “Una vittoria di facciata”, commentano analisti del settore, “che potrebbe costringere le aziende a rivedere i piani di espansione”.
Washington rimuove il 25% di dazi su acciaio e alluminio britannici, introdotti a marzo con la scusa della “sicurezza nazionale”. Tuttavia, restano quote non meglio specificate e dubbi sull’inclusione dei prodotti derivati, come macchinari o attrezzature industriali, che valgono il 5% delle esportazioni UK verso gli USA. Per Londra, che vende oltre 2 miliardi di sterline in questi settori, è un passo avanti, ma non la soluzione attesa.
Farmaci e tecnologia restano campi minati. Gli USA spingono per l’accesso privilegiato al mercato farmaceutico britannico, dove le esportazioni statunitensi valgono 4 miliardi di sterline. Ma il vero scontro è sulla tassa del 2% sui servizi digitali, che colpisce giganti come Meta e Google. Trump la definisce “discriminatoria”, Londra promette ulteriori negoziati, ma per ora le multinazionali tech continueranno a pagare.
Nonostante le rassicurazioni del governo britannico sugli standard alimentari, l’accordo apre le porte a 13mila tonnellate di carne bovina USA trattata con ormoni della crescita, pratica bandita in UK dagli anni ’80. Una concessione che allarma gli agricoltori locali e solleva domande sulla coerenza di Londra: fino a che punto il Regno Unito è disposto a piegarsi alle richieste americane pur di ottenere un posto al tavolo post-Brexit?
Questo accordo, più simbolico che sostanziale, riflette la strategia di Trump di negoziare “vittorie rapide” in vista delle elezioni, mentre il Regno Unito, orfano dell’UE, cerca di ritagliarsi un ruolo da protagonista. Ma il vero test arriverà nei prossimi mesi: senza un trattato di libero scambio vero (che richiederebbe l’approvazione del Congresso USA), rischia di essere un fuoco di paglia. Intanto, la domanda rimane: a che prezzo si vende oggi l’”amicizia speciale” anglo-americana?