Giappone. Abe torna a mani quasi vuote dal vertice con Trump

Askanews

Non può essere uno Shinzo Abe soddisfatto quello che torna in Giappone dopo aver trascorso due giorni, tra banchetti e partite di golf, nel resort di Mar-a-Lago ospite del presidente degli Stati uniti Donald Trump. Azzoppato nella sua popolarità dagli scandali interni che hanno lambito lui e il suo governo, il premier nipponico sperava di ottenere qualcosa dall’amico Donald per far tornare a brillare la sua stella. Ma il padrone di casa non è apparso particolarmente preoccupato di favorirlo né sul fronte della politica internazionale né su quello del commercio bilaterale. Tokyo sta guardando dal balcone il dialogo che ha acceso nuove speranze di pace nella Penisola coreana. I summit in cantiere tra Kim Jong Un e il presidente sudcoreano Moon Jae-in, quello che potrebbe vedere Kim e Trump faccia-a-faccia a fine maggio o inizio giugno, quello già avvenuto a Pechino tra il leader di Pyongyang e il presidente Xi Jinping stanno facendo sperare che si apra una strada verso la denuclearizzazione la pace nella Penisola coreana.
Di questa spettacolare evoluzione Abe è stato finora solo spettatore. Kim non ha lanciato segnali di distensione al Giappone e, per quanto lo stesso primo ministro giapponese abbia auspicato un incontro con il giovane capo della Repubblica democratica popolare di Corea, nulla si è concretizzato. A Tokyo c’è preoccupazione per un processo sul quale non sembra esserci possibilità d’influire. Il timore è che, eccitato dalla possibilità di fare la storia, Trump conceda troppo. O, frustrato dalla delusione in caso di incontro infruttuoso, il fumantino presidente americano acceleri sul fronte militare contro la Corea del Nord. E il Giappone in quel caso sarebbe proprio in prima linea. A Mar-a-Lago Abe ha cercato di far valere le sue ragioni. Ha ottenuto da Trump l’impegno a porre sul tavolo del summit la questione dei rapiti giapponesi negli anni ’70 e ’80. Si tratta di una vicenda importante per l’opinione pubblica interna, che Abe ha sempre messo al centro della sua azione politica. Tokyo ha accertato il rapimento di 17 persone, la Corea del Nord ha ammesso 13 sequestri, riconsegnando cinque persone e dando per morte altre otto. Senza però fornire alcuna prova credibile del decesso.
“Lavoreremo molto duramente su questo tema e lavoreremo per tentare di portare questa gente a casa, molto molto duramente”, ha assicurato Trump nella conferenza stampa congiunta con Abe. Una dichiarazione che accende speranze negli anziani familiari delle vittime dei rapimenti, i quali hanno dichiarato apertamente questa opportunità probabilmente l’ultima. In questo senso, dal punto di vista di Abe aver ottenuto l’impegno di Trump potrebbe non essere abbastanza: a questo punto servono risultati. Su questo pesa un’incognita: quanto può incidere questa vicenda sul più ampio processo di pace Usa-Corea del Nord? Nel summit Kim-Trump, infatti, sul tappeto ci sarà la possibilità di superare l’armistizio, che ha sospeso la guerra di Corea nel 1953, per arrivare a un trattato di pace, alla normalizzazione dei rapporti, alla fine delle sanzioni. “Noi speriamo di vedere il giorno in cui l’intera Penisola coreana potrà vivere insieme in sicurezza, prosperità e pace”, ha detto il presidente americano nella conferenza stampa congiunta. “Come ho detto prima, c’è una strada luminosa disponibile per la Corea del Nord, quando raggiungerà una denuclearizzazione in maniera completa, verificabile e irreversibile. Sarà un grande giorno per loro, un grande giorno per il mondo”.
Moon Jae-in, che ha parlato oggi con gli mogul dei media sudcoreani a Seoul, ha espresso un’idea molto ottimistica, segnalando che la Corea del Nord non ha posto la precondizione per la pace che Washington ritiri i suoi 30mila uomini circa dalla Penisola coreana. Cina e Russia, dal canto loro, hanno espresso soddisfazione e sostegno alle aperture nordcoreane. La capitale dello scetticismo, insomma, resta Tokyo. E l’inatteso entusiasmo di Trump delle ultime settimane pare aver vanificato tutto l’investimento che Abe aveva fatto nel cercare di essere il leader mondiale più vicino al presidente americano.
D’altronde, anche sul versante economico, questo investimento non ha pagato finora granché. Nella due giorni di Mar-a-Lago Abe ha ottenuto che si avviino “colloqui per accordi di libero, equo e reciproco commercio”. Ma non c’è stato alcun concreto passo avanti sulla possibilità che Trump torni sui suoi passi rispetto al ritiro dal Partenariato trans-Pacifico (TPP), l’accordo di libero scambio per il quale Abe si è molto speso (assieme al predecessore di Trump, Barack Obama) e che l’attuale inquilino della Casa bianca ha scaricato. Abe ha ribadito di ritenere il TPP l’ipotesi migliore per tutte le parti, Trump ha detto invece di continuare a preferire l’idea di accordi bilaterali e di essere pronto a considerare la cornice multilaterale solo “se verrà offerto un accordo che io non potrei rifiutare a nome degli Stati uniti”. Il TPP aveva già avuto una lunga gestazione e ogni concessione in settori chiave come quello agricolo e quello delle auto era stata questione molto delicata anche per Tokyo.
Una ricontrattazione più favorevole per gli Usa non sarebbe semplice per un leader come Abe che a settembre deve affrontare cruciali elezioni interne al suo partito: se le perderà, perderà anche il posto da premier. Elezioni, tra l’altro, che si preannunciano più complicate del previsto, alla luce dei diversi scandali che il suo governo si trova ad affrontare. Sul fronte dei dazi, poi, Trump ha concesso davvero poco. Il Giappone non è stato esentato dalle tariffe su acciaio e alluminio, diversamente da quanto è accaduto per altri alleati dell’America. Trump si è limitato ad assicurare un impegno a riconsiderare la questione se si raggiungerà un qualche accordo sul commercio che contribuisca ad abbassare il forte deficit commerciale americano rispetto a Tokyo, che ammonta a circa 60 miliardi di dollari.