Gli scienziati lanciano l’allarme, ‘contenere l’aumento delle temperature del pianeta entro l’1,5°’

Secondo il Global Warming of 1.5°C si rischia il disastro ben prima di quanto ipotizzato alla Cop21.

di C. Alessandro Mauceri

Ad Incheon, in Corea del Sud, è stato presentato il Global Warming of 1.5°C, pubblicato da IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, frutto del lavoro di 91 autori provenienti da 40 paesi, che hanno analizzato ben 6mila studi. Un documento che vuole essere una risposta ad un invito avanzato dalla Convenzione Quadro per i Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC). Obiettivo del report sottolineare le conseguenze per il pianeta a seconda dei cambiamenti climatici, ovvero l’impatto che avrebbe un riscaldamento globale di 1,5°C invece che 2°C o più.
I ricercatori hanno confermato che la temperatura media globale sta crescendo molto più velocemente di quanto previsto durante i lavori della COP 21 di Parigi: 1,5 gradi già nel 2030 rispetto ai livelli pre-industriali.
Lo Special report 15 (Sr15, questo il nome tecnico), ha ribadito che occorrono misure più restrittive per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C invece che a 2°C, come previsto a Parigi.
In caso contrario gli effetti di “aumenti delle temperature medie nella maggior parte delle terre emerse e degli oceani, degli estremi di caldo nella maggior parte delle regioni disabitate, delle forti precipitazioni in diverse regioni, della probabilità di siccità e carenza di precipitazioni in alcune regioni”. Il Mar Glaciale Artico, i cui cambiamenti sono fondamentali non solo per la sua funzione di regolatore delle temperature globali, ma anche per l’impatto su tutti i mari dal punto di vista della salinità e per molti altri motivi, potrebbe rimanere senza ghiaccio marino in estate. E ancora, con un riscaldamento globale di 1,5°C, le barriere coralline, microambiente importantissime, diminuirebbero del 70-90%; ma con un aumento di 2°C scomparirebbero del tutto (>99%).
“I rischi legati al clima per i sistemi umani e naturali sono più alti con un riscaldamento globale a +1,5° dai livelli pre-industriali rispetto al presente, ma più bassi rispetto a un riscaldamento a +2°”, ha concluso l’IPCC. “Sulla terra gli impatti sulla biodiversità e gli ecosistemi, comprese perdite di specie ed estinzioni, si prevede che saranno più bassi a 1,5° di riscaldamento che a 2°”. La conseguenza è quella che da anni viene ripetono in molti: “I rischi legati al clima per salute, mezzi di sostentamento, sicurezza del cibo, fornite d’acqua, sicurezza umana e crescita economica si prevede che aumenteranno con un riscaldamento a +1,5° e saliranno ulteriormente a +2°”.
Quello presentato nei giorni scorsi non è solo una ricerca scientifica, sebbene alcuni paesi, USA in primis, si ostinino a negare il rapporto di causa ed effetto tra i cambiamenti climatici e le emissioni di sostanze inquinanti come la CO2: sarà la base su cui dovranno discutere i leader mondiali che Conferenza sui Cambiamenti Climatici, la COP24 che si terrà in Polonia a dicembre.
Stranamente proprio in Polonia è stata comunicata la decisione di aprire una nuova centrale a carbone, una delle fonti energetiche a maggior impatto sull’ambiente non solo per le emissioni ma anche per l’estrazione. Sedere a pochi chilometri da questa centrale e parlare di riduzione delle emissioni di CO2 o di tutela dell’ambiente è a dir poco ridicolo.
A pagare le conseguenze del comportamento irrazionale maggiori responsabili delle emissioni di sostanze inquinanti di molti paesi sviluppati o in via di sviluppo come India e Cina, protagonisti di una corsa sfrenata verso l’industrializzazione selvaggia, saranno i paesi poco sviluppati, quelli più poveri. Che non potranno fare altro che stare a guardare il termometro salire mediamente più del solito fino a sfondare la barriera di “1,5° in più”. Ma non nel 2100, come avevano promesso a Parigi i leader mondiali, tra una foto di gruppo e una cena di gala. Questo aumento verrà raggiunto (e superato) molto prima: tra il 2030 e il 2052.