Golfo di Guinea: rischio di un nuovo hub jihadista

di Sara Oldani * –

Dopo più di un decennio di instabilità securitaria e crisi politica nella banda saharo-saheliana – in cui i movimenti jihadisti si sono ormai radicati – le dinamiche e le azioni dei gruppi terroristici locali si stanno rivolgendo più a ovest. Il Golfo di Guinea, importante centro della mondializzazione e dei traffici commerciali internazionali e africani, sta diventando terreno fertile per una nuova ondata jihadista in Africa Occidentale. In questa breve analisi osserveremo dunque le strategie e le pratiche messe in atto da tali movimenti e il rischio che essi pongono agli Stati costieri, in primis Costa d’Avorio, Ghana, Togo e Benin.
La galassia jihadista che opera nella zona del Sahara-Sahel – nello specifico nell’area delle tre frontiere e intorno al bacino del lago Ciad – è molteplice e complessa. Per semplificazione, i gruppi principali sono tre e si rifanno all’impianto ideologico-politico salafita: l’organizzazione Jamaat Nusrat al Islam wa al Muslimin (JNIM), fondata nel 2017 dalla fusione di movimenti riconducibili ad al-Qaeda e ad altri di stampo autoctono; l’Etat Islamique au Grand Sahara (EIGS), la branca africano-occidentale dell’ISIS; e, infine, il gruppo nigeriano Boko Haram.
I Paesi costieri del Golfo di Guinea hanno registrato al loro interno attività da parte di questi gruppi terroristici – tra cui traffici illeciti e attentati – già a partire dal 2019. La situazione, tuttavia, presenta un trend in peggioramento, dato che tali azioni si sono intensificate tra il 2021 e il 2023 nelle zone settentrionali di Costa d’Avorio, Ghana, Togo e Benin. In primis, la geografia ha favorito un’espansione delle dinamiche jihadiste anche in quest’area: la prossimità e la porosità dei confini tra i Paesi saheliani (specialmente Burkina Faso, Mali e Niger) e i Paesi costieri, insieme allo scarso controllo statale degli stessi, hanno permesso la creazione di una rete informale a garanzia del sostegno logistico, operativo e finanziario dei gruppi terroristici.
I jihadisti, inoltre, beneficiano di due altri fattori: la conformazione territoriale – caratterizzata dalla presenza di enormi riserve naturali – e la frustrazione delle popolazioni locali della fascia settentrionale dei Paesi costieri, rurali ed escluse dal piano di sviluppo delle capitali o delle zone meridionali con sbocco sul mare. La prima garantisce loro una maggiore facilità operativa rispetto al Sahara-Sahel, in quanto la presenza di foreste e fitti boschi diminuisce la visibilità nelle operazioni di counter terrorism (nelle aree aride e desertiche, invece, spesso si può intervenire con i droni); la seconda invece offre alle organizzazioni terroristiche facili opportunità per la radicalizzazione della popolazione e l’arruolamento di nuovi membri.
Alla luce di ciò, i gruppi jihadisti hanno cercato di replicare il modello della banda saharo-saheliana, polarizzando le differenze etnico-comunitarie e facendo leva sulla scarsa fiducia e l’ostilità nei confronti dei governi centrali. Tali gruppi hanno ricevuto il supporto delle comunità locali che, tra le altre cose, subiscono fortemente le conseguenze del cambiamento climatico. Nel sud dei Paesi costieri la popolazione è tendenzialmente a maggioranza cristiano-animista mentre al nord è a prevalenza musulmana. Questa divisione è data dalla differente evoluzione storico-culturale della regione. La differenza religiosa, però, non è assolutamente sufficiente per spiegare l’espansione jihadista a ovest: come nella fascia saharo-saheliana è la disparità dell’accesso alle risorse a rendere attrattivo sposare la causa jihadista. Inoltre, la questione della governance e del controllo statale è cruciale per evitare che i gruppi jihadisti arrivino a controllare vere e proprie porzioni territoriali – e addirittura le città dei Paesi costieri – nel Golfo di Guinea.
Costa d’Avorio, Ghana, Togo e Benin: resilienza, ma con dei limiti – Il Benin è stato il primo Paese ad avere subito un attacco terroristico già nel 2019, a causa di un’infiltrazione jihadista proveniente dal Burkina Faso. In seguito, in Costa d’Avorio si è verificato un attacco nel 2020 e attualmente si tratta dello Stato più colpito tra quelli che si affacciano sul Golfo. Nel 2021 invece è stata la volta del Togo. Ora solo il Ghana non ha registrato attacchi sul suo territorio, considerando anche che il ruolo jihadista nel territorio è per quanto riguarda i traffici di armi e droga.
Tutti questi Stati presentano delle economie e delle prospettive di sviluppo incoraggianti– con tassi di crescita positivi del PIL nel 2023 – e una stabilità governativa molto più solida rispetto ai loro vicini. Rimangono però delle criticità date da fattori esterni, come la fluttuazione dei prezzi del mercato energetico e l’inflazione mondiale sui beni alimentari, e da fattori interni. La minaccia jihadista infatti potrebbe scoraggiare investitori internazionali, così come il rischio di derive autoritarie al potere. Inoltre, la mancata redistribuzione delle risorse in maniera accurata ed equa potrebbe fomentare il sentimento anti-governativo di alcune comunità nelle aree settentrionali (come già delineato) e, pertanto, provocare un’ulteriore radicalizzazione.
Risulta, dunque, necessario che gli Stati centrali investano in politiche di difesa e di rafforzamento degli eserciti nazionali e delle rispettive forze speciali per prevenire il rischio di questa ondata. Tuttavia, senza un piano strutturale di sviluppo e di inclusione delle comunità marginalizzate a livello di accesso alle risorse e servizi, tali sforzi risulteranno vani. Per fronteggiare questa minaccia gli Stati interessati – Costa d’Avorio, Ghana, Benin, Togo e Burkina Faso – hanno istituito nel 2017 la Accra Initiative, un quadro di riferimento comune per rispondere collettivamente con formazione, condivisione di intelligence e operazioni militari congiunte al problema jihadista. Oltre a cooperazioni di tipo regionale, i Paesi costieri ricevono il supporto di partner esteri come la Francia che ha come fulcro d’azione la sua base in Costa d’Avorio.

* Caporedattrice per l’Area Tematica “Framing the World” – Mondo Internazionale Post.

Articolo in mediapartnership con Giornale Diplomatico.