Guerra e sanzioni o la Great Alternative

di Anceo Agostini

Nell’ultimo secolo le sanzioni contro l’URSS e contro la Russia sono state un esercizio praticato senza soluzione di continuità, ma è solo a partire dall’annessione russa della Crimea nel 2014 che il vocabolo “sanzione” si è fatto frequente nel lessico dei mezzi d’informazione.
Da quella data i Paesi occidentali hanno sottoposto la Federazione Russa ad una miriade di sanzioni che, per mera comodità espositiva, suddivido in due scaglioni associati ai principali eventi scatenanti: l’annessione della Crimea e il riconoscimento da parte della Russia delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk con successivo intervento militare russo in Ucraina nel 2022.
Meritano solo un accenno gli antecedenti provvedimenti sanzionatori a fronte delle infrazioni russe del divieto USA di fornitura di “armi di distruzione di massa” alla Corea del Nord, all’Iran e alla Siria (anni ’90), quelli legati al caso “Magnitskij” (violazione dei diritti umani, 2012); provvedimenti che da una parte, interessando un gruppo ristretto di persone e società, provocarono un effetto pratico limitato, ma, dall’altra, erano mirati principalmente a creare un primo abbozzo di immagine negativa della Russia presso l’opinione pubblica del mondo occidentale.
La prima cosa che balza agli occhi è l’impressionante il numero di sanzioni applicate alla Federazione Russia che, secondo quanto dichiarato dal portavoce della Duma russa Vjaceslav Volodin, il 13 maggio 2022 ammontavano a 10.128, e la cifra si staglia con maggiore evidenza se paragonata al numero di sanzioni cui sono soggetti gli altri Paesi “indisciplinati”: l’Iran con 3.616 sanzioni, la Siria con 2.608 e la Corea del Nord 2.077 (dati riportati il 17 marzo 2022 da Virgilio Notizie) .
L’inizio della campagna sanzionatoria connessa agli avvenimenti in Crimea venne annunciata da Obama il 28 febbraio 2014, si trattava di far pagare alla Russia la violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina. Nella dichiarazione veniva anche asserito che la reazione occidentale rispondeva agli interessi della stessa Russia e della sua popolazione. In questo primo periodo sarebbe stato più volte ribadito un distinguo tra l’élite al potere contro cui erano rivolte le sanzioni e il popolo russo.
Le sanzioni di questa prima fase erano mirate a colpire l’entourage politico ed economico ritenuto vicino a Putin con lo scopo di indebolire e isolare i falchi e costringere il Cremlino a rinsavire. Si trattava di sanzioni nominali dirette contro specifici personaggi politici, funzionari e società responsabili direttamente o indirettamente all’annessione della Crimea e agli eventi nell’Ucraina orientale. Inoltre la Russia e le istituzioni russe venivano estromesse da una serie di organizzazioni internazionali, venivano interrotti rapporti, consultazioni, boicottate iniziative e progetti congiunti, bloccati investimenti, finanziamenti e prestiti a banche e società della Federazione Russa, della Crimea e delle autoproclamate repubbliche del Donbass.
Una caratteristica comune a tutta la campagna sanzionatoria è la progressività: le misure vengono introdotte e attuate in base a una certa logica cronologica (con una cadenza media quasi settimanale) che, si presume, dovrebbe consentire da una parte di verificarne i risultati, e dall’altra di mantenere la controparte in uno stato di costante incertezza circa la natura e la gravità dei prossimi interventi. Anche il fatto che la durata dei vari pacchetti di sanzioni fosse “a termine” avallava, soprattutto nel periodo iniziale, l’illusione da parte russa che qualcuna potesse non essere rinnovata.
Una seconda peculiarità è rappresentata dall’ ampia adesione da parte degli alleati alla campagna sanzionatoria lanciata dagli USA. Una adesione che, stando all’ammissione di Biden, al tempo in veste di vicepresidente non è stata propriamente “spontanea” ed entusiastica, ma frutto di un’insistente opera di “convincimento” da parte americana (è curioso notare che nello stesso intervento, che risale al 3 ottobre 2014, il futuro presidente americano aveva profeticamente accennato alle due grandi minacce “senza frontiere” per il mondo globalizzato: terrorismo e pandemie!). Resta il fatto che i Paesi democratici nolens volens, salvo rare eccezioni si sono allineati, e l’Unione Europea ha dimostrato un grado di compattezza mai raggiunto in precedenza.
La Russia, per la quale gas e petrolio nel 2013 rappresentavano il 71% delle esportazioni, disponeva di un arsenale estremamente circoscritto per possibili controsanzioni. Reagì introducendo un embargo concernente alcune voci doganali del settore alimentare. Si trattava principalmente del blocco delle importazioni di frutta fresca, latticini, salumi, prodotti ittici dai Paesi che avevano aderito alle sanzioni.
Nel periodo 2014-2022 gli effetti di questa crescente ondata di sanzioni si tradussero in una fuga di capitali dalla Russia, in un drastico calo degli investimenti stranieri, nella svalutazione del rublo (nei confronti dell’euro da 39 a 75-80 nel corso del 2014). La Russia dimostrò comunque una certa capacità di adattamento alla nuova situazione economica e colse l’occasione per introdurre un programma di sostituzione dei prodotti d’importazione (importozameschenie) considerati strategici per il Paese principalmente nei settori agroalimentare, informatico e costruzione di macchinari. Se nel settore agroalimentare sono stati raggiunti evidenti successi, negli altri settori i risultati sono stati decisamente modesti e il Paese si è visto costretto a rivolgersi a oriente per trovare prodotti alternativi. Per la massa della popolazione russa, abituata nel corso degli ultimi trent’anni a crisi economiche, svalutazioni, e privazioni, il risultato pratico delle sanzioni fu irrilevante. Ne soffrirono in misura maggiore i rappresentanti della classe media, che si videro privati di parmigiano, gorgonzola, mozzarella, burrata e altri formaggi italiani e francesi, salami e prosciutti italiani e spagnoli. Gli spazi vuoti sugli scaffali dei supermercati vennero gradualmente riempiti con prodotti analoghi di produzione svizzera, iraniana, brasiliana, bielorussa a cui si aggiunsero successivamente prodotti locali, all’appello manca ancora il parmigiano stagionato. Da parte loro l’UE e, tutto sommato, i governi nazionali europei sembrano aver digerito in modo indolore alcune rinunce: per l’Italia il piu’ che dimezzamento dell’interscambio commerciale con la Russia nel periodo 2013-2020 (da 53 miliardi di Usd a 20 miliardi) e l’aborto del progetto congiunto ENI-Gazprom “South Stream”, per la Francia lo storno del contratto di fornitura di 2 portaelicotteri Mistral alla società russa Rosoboronexport e una riduzione dell’interscambio commerciale del 43%, per la Germania una riduzione dell’interscambio del 40% e il blocco del gasdotto North Stream-2. Complessivamente l’interscambio UE/Russia cala del 54%.
È singolare che nello stesso periodo l’interscambio dei due Paesi principali paladini della politica sanzionatoria per gli Usa scese del 14% e per la GB salì dell’8%.
La seconda ondata di sanzioni a seguito della “operazione militare speciale” russa in Ucraina è un vero e proprio tsunami di provvedimenti che per la gravità e le conseguenze sia per il Paese destinatario che per gli Stati irroganti è in totale dissonanza con il tono con cui vennero annunciate sul suo tweet da Josep Borrell, Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera: «Niente più shopping a Milano, feste a Saint Tropez, diamanti ad Anversa. Questo è il primo passo. Siamo uniti».
Ma l’UE, ancora non completamente uscita dalla pandemia, è pronta a sacrifici, tanto piu’ che nel frattempo in alcuni Paesi recalcitranti sono avvenuti dei cambiamenti politici: nella neutrale Austria, dopo il secondo scossone, lo scomodo cancelliere Kurz ha definitivamente gettato la spugna, l’Italia ha finalmente formato un governo appoggiato da una larga maggioranza, in Germania alla Merkel (che si era dimostrata ritrosa a rinunciare al North Stream-2) è subentrato il socialdemocratico Scholz strettamente tallonato dai verdi, in Francia erano imminenti le elezioni presidenziali e Macron, si sperava, avrebbe dovuto mantenere le redini.
Anche l’opinione pubblica dei Paesi democratici è pronta a condividere nuove sanzioni contro la Russia. La campagna ecologista lanciata nel 2018 dalla giovanissima attivista svedese contro le emissioni di CO2 e contro i combustibili fossili ha preparato psicologicamente il terreno alla rinuncia a gas, carbone e petrolio. La pandemia, ma soprattutto la gestione caotica delle misure anti-covid in ambito europeo hanno svolto un ruolo dirompente nel creare uno stato di insicurezza e di paura tra le popolazioni. Governi, scienziati, mass-media e social hanno imbastito una vera e propria caccia alle streghe contro quanti, nonostante le evidenze, nutrivano dei dubbi o addirittura osavano criticare le scelte dei politici. Tutto il mondo dell’informazione è solidale con i governi che applicano misure restrittive al limite della costituzionalità.
Intanto proseguiva l’attività di isolamento e contenimento della Russia oramai marginalizzata, privata della possibilità di accedere alla maggioranza dei consessi internazionali e bandita dagli organi di informazione occidentali. Per proteggere i cittadini europei contro il dilagare di informazioni non munite di imprimatur l’UE si attrezza istituendo nel 2015 il sito Anti-Fake news, una specie di “Indice dei libri proibiti”, in chiave moderna. Vari Paesi proibiscono le trasmissioni delle televisioni e gli organi di informazione russi (amarcord dell’URSS, quando il regime comunista oscurava la ricezione di Radio Free Europe e Radio Liberty).
Il periodo tra i due eventi ucraini è punteggiato da altri misfatti compiuti dai Russi che innescano ulteriori corollari di sanzioni: l’ingerenza nella campagna presidenziale USA, gli attacchi informatici a destra e manca, il tentato avvelenamento dell’ex spia Skripal’ in GB con l’impiego della famigerata arma nervina “novichok”, l’attentato (pregresso) a un deposito di esplosivi in Cechia, il nuovo tentato avvelenamento sempre con l’ormai familiare “novichok” dell’oppositore Naval’nyj, il supporto al regime di Assad.
È in questa atmosfera che Putin, apparentemente senza altri moventi se non le sue mire espansionistiche, dà sfogo al suo Drang nach Westen. La reazione di condanna del mondo occidentale è unanime, le nuove sanzioni insieme al rincrudimento delle vecchie ora spaziano a 360 gradi. Le nuove adesioni alle sanzioni dei Paesi d’oltremare battenti la bandiera dei Paesi Bassi o britannica o quelli che Sebastien Lecornu, ministro delle Oltremare in base al decreto 2022 -515 dell’8 aprile 2022 coinvolge nella campagna sanzionatoria: Saint-Pierre et Miquelon, Wallis-et-Futuna, Polinesia Francese, Nuova Caledonia creano mal di testa soprattutto agli oligarchi russi che si ritrovano bloccati conti bancari, yacht e lussuose ville.
Ma ciò che preoccupa il Cremlino è l’adesione sostanzialmente solidale della UE che rappresenta per la Russia il primo partner commerciale nonostante la forte riduzione dell’interscambio che da 417,7 miliardi di Usd nel 2013 era sceso a 192,4 miliardi nel 2020(9), ma nel 2021 era risalito registrando un forte recupero.
Dopo le reciproche massicce espulsioni di oltre mille diplomatici i rapporti tra Russia e Occidente sono ridotti ai minimi termini. Il rilascio dei visti Schengen, anche se non formalmente, è di fatto sospeso. Il turismo, grazie anche alla pandemia, è inesistente. I porti, gli aeroporti e lo spazio aereo occidentali sono chiusi ai mezzi di trasporto russi.
Le voci doganali soggette a restrizioni spaziano dai macchinari ai trapani e cacciaviti, ai PC portatili, al software, ai telefonini e play station. Sono bandite le forniture di ricambi per aerei, auto, macchine agricole, e impianti vari. Quanto non è espressamente proibito richiede acrobazie per i pagamenti, a causa dell’esclusione della quasi totalità delle banche russe dal sistema SWIFT, ed è estremamente difficile da consegnare. Le carte di credito emesse dalle banche russe non funzionano in occidente e viceversa. Ai Russi (o stranieri residenti in Russia) non è consentito acquistare beni di lusso in Europa, agli eventuali contravventori i beni possono venir sequestrati dalla dogana UE.
Un imponente, economicamente e socialmente pesante strascico della politica sanzionatoria è rappresentato dall’abbandono del mercato russo da parte dei gruppi transnazionali.
Riporto solo alcuni esempi, per settori, di quanti hanno chiuso i battenti o sospeso attivita’, vendite o investimenti in Russia: produzione auto: Audi, General Motors, Iveco, Scania, BMW, Stellantis, Volvo, Ferrari, Infiniti, Skoda, Mercedes , Nissan, Volkswagen ecc.; produzione aerei: Airbus e Boeing; vendita al dettaglio: Adidas, Cartier, Chanel, Decathlon, gruppo Estee Lauder, H&M, Hugo Boss, IKEA, gruppo Inditex, Louis Vuitton, Prada, Puma, Hermes, Rolex, Shisheido, ecc.; aziende IT: AMD, Adobe, Apple, Cisco Systems Inc., Nvidia, Ricoh, Qualcomm, Samsung, Siemens, Sony, Microsoft, IBM, Epson, ecc.; Oil&Gas e vario: BP, ENI, Shell, Exxon Mobil, Mitsubishi Electric, General Electric, Komatsu, Halliburton, Schlumberge, Michelin, Caterpillar; settore farmaceutico: Bayer, Novartis, Pfizer, Johnson & Johnson ecc.; logistica: DHL, UPS, FedEx, Maersk ecc.; distribuzione cinematografica: Paramount, Walt Disney Company, Universal Pictures, Warner Bros, Discovery Inc., Netflix, Sony Pictures, ecc.; alimentare: Coca-Cola, Dr. Oetker, Lavazza, McDonald’s, Sushi Ninja, Paulig, PepsiCo, Starbucks, Valio ecc.
A queste vanno aggiunte le chiusure di centinaia di PMI occidentali impossibilitate a proseguire l’attività in Russia a causa della situazione di blocco finanziario e logistico.
Ho ritenuto opportuno riportare questo elenco, assolutamente non esaustivo (tratto dalla lista in costante aggiornamento del quotidiano Kommersant), per dare un’idea della portata del fenomeno.
Negli obiettivi della prima fase della politica sanzionatoria si rilevava una diversità tra l’approccio europeo e quello statunitense: per l’Europa si trattava di spronare la Russia all’attuazione degli accordi di Minsk e di risolvere il conflitto ai propri confini; gli USA perseguivano un obiettivo piu’ ampio di contenimento e soprattutto di isolamento totale della Russia in ambito europeo. È con questa logica negli Stati Uniti (e in GB) vengono escogitati nuovi filoni di sanzioni, connessi ai cyberattacchi, alle ingerenze nelle elezioni presidenziali, al supporto ad al-Assad, alle armi chimiche, alla lesione dei diritti umani, ai tentati avvelenamenti, al gasdotto in costruzione, che si sovrappongono a quelli legati alla questione Ucraina. Le sanzioni americane sono accurate, mirate, riducono al minimo possibili effetti negativi sull’economia nazionale. Inoltre, mentre le sanzioni europee nascevano con una scadenza semestrale che avrebbe consentito una eventuale revoca in caso di progressi nella distensione, il meccanismo delle sanzioni americane è praticamente sine die, difficilmente reversibile.
Nella fase attuale questa diversità è sparita: l’UE e i governi nazionali si sono conformati alla linea d’Oltreoceano e hanno inasprito i controlli e le sanzioni “secondarie” contro i Paesi inosservanti o coinvolti in triangolazioni.
Una riuscita totale e onnicomprensiva campagna mediatica ha trasformato la Russia nel gigante barbaro, minaccioso e spietato che aggredisce l’impavido difensore dei valori democratici. Le forniture di armi e il supporto militare all’Ucraina, che in precedenza avvenivano in sordina, oggi sono quotidianamente reclamati, sollecitati e incontrano un’approvazione pressoché generale.
Mentre la bionda attempata di Bruxelles, che a suo tempo i Tedeschi con grande sollievo hanno rifilato all’Europa, è riuscita con difficoltà a confezionare il settimo pacchetto di sanzioni politico-economiche perché’ oramai sono rimaste a disposizione poche briciole e si raschia il fondo del barile, i Russi con parsimonia, hanno incominciato ad utilizzare l’unica sanzione a loro disposizione, suscitando a occidente un’indignata levata di scudi: la Russia usa il gas come arma politica.
Considerati gli ingenti mezzi impiegati dall’Occidente nel conflitto oso ritenere che il ricorso russo all’”arma” del gas fosse se non inevitabile, per lo meno prevedibile. La macroscopica sproporzione tra i danni economici e sociali che questo conflitto sta arrecando agli Stati europei rispetto a quelli irrilevanti per gli alleati d’oltreoceano pone perlomeno qualche dubbio sui reali obiettivi della guerra in corso.
Stando ai risultati di un sondaggio della società Levada Centr all’indomani dell’inizio della “operazione militare speciale”, oltre l’80% della popolazione russa approverebbe l’operato di Putin. Occorre d’altro canto rilevare che i risultati delle sanzioni in Russia non hanno ancora raggiunto l’apice e la situazione potrebbe radicalmente cambiare a seguito dell’inflazione, del calo del livello di vita e dell’inevitabile aumento della disoccupazione. Le incognite sono rappresentate dalla tradizionale capacità di adattamento dei Russi ai disagi e dalla tenuta politica dei “siloviki”. Siamo alla vigilia di due evenienze: un autunno caldo per la Russia e/o un inverno freddo per l’Europa.
Il cuneo di diffidenza inserito tra l’Europa e la Russia ha inibito il processo di integrazione in atto e non sarà facilmente superabile.
L’imminente disastro è dipeso dal fatto che nessuno in Europa ha osato mettere in dubbio l’assioma di Biden: “L’alternativa alle sanzioni è la Terza Guerra Mondiale”. E se i Russi resistono?