Haftar si rivolge a Renzi, ‘dateci le armi’. E (anche lui) minaccia l’immigrazione

di Enrico Oliari –

haftar 2 grandeIl capo delle forze del governo riconosciuto dalla comunità internazionale “di Tobruk”, generale Khalifa Haftar, ha risposto ad un’intervista dell’Ansa chiedendo al premier italiano Matteo Renzi di “convincere la comunità internazionale a rimuovere l’embargo sulle armi e di aiutarci a combattere per una Libia libera dagli estremisti. E’ decisivo anche per l’Italia: se dovesse vincere l’Isis sarebbe a rischio la vostra sicurezza”.
Non è la prima volta che da Tobruk arrivano appelli di questo genere, tanto che lo scorso 25 febbraio era stato il capo del governo, Abdullah al-Thani, a criticare duramente “Usa, Gran Bretagna e i Paesi dell’Ue per non aver fornito armi”, mentre “La coalizione dell’Alba Libica”, cioè gli islamisti che fanno capo la governo “di Tripoli” di Omar al-Hassi, “è parte di una milizia islamica che riceve armi, munizioni e rifornimenti da tutto il mondo” ed a concludere che “l’America e la Gran Bretagna hanno altre idee, contrarie all’interesse del popolo libico”.
In realtà se c’è un luogo dove le armi vanno e vengono come si trattasse di merce ordinaria è proprio la Libia, ma a generare l’allarmismo delle milizie di Tobruk è il rischio di vedersi tagliati fuori dall’acceso al corridoio del Sahel dai jihadisti dell’Isis.
Haftar ha continuato avvertendo che “Stiamo combattendo anche per voi e se dovessimo fallire il prossimo obiettivo dei terroristi sarebbe l’Italia”. “Siamo un popolo orgoglioso – ha sottolineato – possiamo anche combattere questa guerra a mani nude, ma il Qatar, la Turchia e il Sudan stanno aiutando gli estremisti, con armi e finanziamenti. Anche se siamo sicuri che siano pilotati da altre potenze straniere. E’ importante che si sappia che voltata questa pagina ci ricorderemo molto bene chi ci è stato vicino e chi invece si è voltato dall’altra parte”. “La Libia – ha ribadito il generale – è un paese ricco di risorse e in base a quanto accadrà e a chi sosterrà il governo eletto democraticamente, decideremo noi con chi condividere questa ricchezza”.
Ancora una volta, quindi, Qatar e Turchia vengono accusati di rifornire e di finanziare gli islamisti come già è successo in Siria, per cui la realtà vede un occidente che da un lato si oppone alle formazioni più estreme (ad esempio Ansar al-Sharia è parte di “Alba della Libia”, ovvero delle milizie “di Tripoli”), dall’altro interagisce con il Qatar per i forti investimenti (non ultimo il caso dei grattacieli acquisiti a Milano) e con la Turchia per le necessità strategiche.
Tra l’altro lo stesso Haftar viene accusato dai suoi detrattori di essere al soldo di Washington in quanto venne fatto prigioniero nel 1987 dall’esercito ciadiano in occasione della “Guerra delle Toyota”, per poi essere prelevato dalla Cia e portato negli Usa, dove vi è rimasto fino al 2011 per ricomprire in Libia a comandare la piazza di Bengasi nell’insurrezione che ha portato alla deposizione di Muammar Gheddafi.
Nell’intervista raccolta dall’Ansa Haftar dimostra una non celata sofferenza in merito ai colloqui di pace in corso grazie alla mediazione dell’inviato dell’Onu Bernardino Leon: “L’Onu e l’Europa non ci possono obbligare a sederci al tavolo con terroristi ed estremisti” – ha spiegato Haftar – poiché vi sono “un governo e un parlamento eletti democraticamente sotto l’egida e il controllo dell’Onu e riconosciuto ufficialmente dalla comunità internazionale”. “Formare un governo di unità come proposto dai mediatori equivarrebbe a rendere vano ogni tentativo di mantenere la Libia un paese democratico”.
Anche Haftar, come ha testé fatto il ministro greco della Difesa Panos Kamenos (“Se abbandoneranno la Grecia devono sapere che i migranti riceveranno i documenti e andranno a Berlino”), ha agitato lo spauracchio dell’immigrazione clandestina, affermando di sapere che “In Italia siete molto preoccupati per questo fenomeno, che in questo momento non siamo in grado di controllare visto che gli estremisti utilizzano il traffico di essere umani per finanziarsi. Vorremmo che venissero rispettati e rinvigoriti i vecchi accordi ora in disuso, ma perché accada serve l’intervento rapido della comunità internazionale a sostegno del governo legittimo di Tobruk”.