Haiti. Ad un anno dall’omicidio del presidente Moise le cose peggiorano

di Paolo Menchi

Ad un anno dall’omicidio del presidente di Haiti, Jovenel Moise, non sono stati fatti grossi passi in avanti per individuare i colpevoli, e sia la famiglia del defunto che il nuovo primo ministro Ariel Henry hanno denunciato il fatto che la magistratura non si stia impegnando particolarmente per trovare gli assassini, ventilando la possibilità che si vogliano coprire complotti interni. Tesi questa avvalorata dal fatto che è stato stabilito con certezza che le guardie del corpo di Moise non hanno reagito di fronte all’assalto del commando che ha ucciso il presidente.
Dopo gli arresti effettuati nei giorni successivi all’omicidio pare che si sia tutto arenato.
Erano state incarcerate circa 40 persone, tra le quali 18 ex militari colombiani, accusati di essere il braccio armato che ha colpito materialmente il presidente, individui ancora in prigione in attesa di giudizio e per i quali i familiari hanno lanciato appelli in quanto verrebbero tenuti in condizioni di vita molto precarie e inumane.
L’unico presunto mandante detenuto ad Haiti è il medico Emmanuel Sanon, mentre altri come l’ex militare colombiano Mario Antonio Palacios e l’imprenditore haitiano, naturalizzato cileno, Rodolphe Jaar, sono indagati dalla giustizia statunitense, ma in tribunale si sono già dichiarati non colpevoli.
Le persone vicine al defunto uomo politico accusano anche la comunità internazionale di non aver fornito aiuti e valida collaborazione per scovare i colpevoli e condannarli definitivamente.
Haiti, uno dei paesi più poveri al mondo, sta sprofondando ancora di più nella povertà, nella violenza e nell’ instabilità, acuita dall’omicidio di Moise.
Secondo l’economista Enomy Germain la situazione è passata da una fase di decadenza ad una fase di catastrofe, basti pensare che l’inflazione in un anno è raddoppiata arrivando ad oltre il 27%.
La povertà è un vecchio problema di Haiti che, rispetto alla nazione con cui divide l’isola di Hiaspaniola, la Repubblica Dominicana, non può contare nemmeno sul turismo, che per la morfologia del territorio, in gran parte montuoso, non si è mai sviluppato.
Se a questo si aggiungono i violenti terremoti ed uragani che hanno devastato il paese negli ultimi anni si ottiene un quadro molto triste, ma se si pensa che la situazione è in peggioramento allora è possibile arrivare alla conclusione che la drammaticità della situazione renderebbe necessario un massiccio intervento delle organizzazioni umanitarie per migliorare la vita precaria della popolazione.
Ma forse serve qualcosa di ancora più deciso per combattere la violenza, anche questa in aumento con furti e omicidi all’ordine del giorno e con il crescente business dei rapimenti, che ha la caratteristica di non colpire solo i ricchi ma tutti gli strati della popolazione; le bande specializzate infatti si accontentano anche di riscatti limitati e rapiscono bambini, religiosi, piccoli commercianti o chiunque ritengano possa avere qualcuno che paghi per la loro liberazione.
Senza ridurre notevolmente la violenza non sarà possibile nemmeno provare a ricostruire l’economia.