di C. Alessandro Mauceri –
Qualche giorno fa, dopo la notizia che il presidente degli Usa Donald Trump aveva chiesto al premier italiano di pagare le somme dovute per la Nato (pari al 2% del Pil, ovvero circa 20 miliardi di dollari l’anno), sono scoppiate numerose polemiche circa la reale utilità per il Bel Paese di far parte di questo ente. Unica consolazione il fatto che, ad essere nelle stesse condizioni dell’Italia, sono quasi tutti i paesi aderenti, fatte poche eccezioni.
Anche un’altra organizzazione internazionale, ben più grande e importante, si trova nelle stesse condizioni: l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Da anni i funzionari dell’Onu rinnovano ai paesi aderenti il proprio invito ad adempiere agli obblighi finanziari sottoscritti. Ma con scarsi risultati.
Qualche hanno fu il vice segretario generale per la gestione dell’Organizzazione, Angela Kane, a dichiarare che solo 13 su 192 Stati Membri (Australia, Azerbaijan, Canada, Repubblica Democratica del Congo, Danimarca, Germania, Liechtenstein, Monaco, Paesi Bassi, Singapore, Sudafrica, Svizzera e Tanzania) avevano saldato in pieno tutti i contributi dovuti per le Nazioni Unite, per le operazioni di pace, per i Tribunali Criminali Internazionali, per Ruanda e ex – Yugoslavia e per il progetto di ristrutturazione del quartier generale. Anche per il bilancio ordinario il resoconto sulla situazione finanziaria dell’Onu era tragico: solo 119 Stati membri hanno versato le somme dovute, mentre altri 73 paesi rimanevano insolventi. E tra i peggiori pagatori c’erano proprio gli Usa: dei 787 milioni di dollari mai ricevuti, ben l’88% (691 milioni di dollari) dovevano essere pagati proprio da loro.
La situazione non è cambiata. Nell’ultimo rapporto presentato da Yukio Takasu, sottosegretario generale per la Gestione, sugli indicatori al 31 dicembre 2014 e 2015, e al 30 aprile 2015 e 2016, la situazione pare essere leggermente migliorata, ma il problema rimane: sono ancora molti, troppi i paesi che non versano le somme promesse alle Nazioni Unite e dalle casse dell’organizzazione continuano a mancare miliardi di dollari. Al 30 aprile 2016 i contributi non pagati ammontavano a 1,43 miliardi di dollari su un bilancio complessivo di 2,771 miliardi di dollari. L’invito di Yukio Takasu è stato rivolto proprio ai paesi “morosi”: “La salute finanziaria della nostra organizzazione dipende dal fatto che gli Stati Membri ottemperino ai loro obblighi finanziari in pieno e in tempo”, ha detto.
Una situazione di “insolvenza” da parte degli Stati Membri che ha ripercussioni sulle iniziative promosse dall’Onu. A cominciare dalle “missioni di pace”: il totale delle valutazioni non retribuite alla fine del 2015 ammontava a 976 milioni di dollari. E la situazione è peggiorata lo scorso anno, tanto che dal 30 aprile 2016 le spese ammontano a 3,9 miliardi di dollari, di cui ben 2,4 miliardi di dollari non pagati, come ha riferito sottosegretario generale per la Gestione.
Ancora peggiore, se possibile, la situazione delle casse delle Nazioni Unite per gli aiuti umanitari: i finanziamenti internazionali sono stati ridotti, negli ultimi tempi il calo è stato del 10%, a fronte di una situazione in netto peggioramento. “Siamo di fronte a un incredibile aumento dei bisogni, dagli alloggi all’acqua e all’igiene, passando per il cibo, l’assistenza medica e l’istruzione – ha detto l’allora Alto commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, in un’intervista dello scorso anno – i nostri bilanci non possono essere paragonati all’aumento del bisogno: i nostri introiti nel 2015 sono stati circa il 10% in meno rispetto al 2014. La comunità degli aiuti umanitari globali non è in crisi, anzi non è mai stata così efficiente. Ma dal punto di vista finanziario noi siamo assolutamente a terra”. Secondo il giornale inglese The Guardian, i fondi internazionali per gli aiuti dovrebbero ammontare a 19,52 miliardi di dollari, ma quelli realmente raccolti sarebbero solo 7,15 miliardi di dollari.
Situazione ancora peggiore quella denunciata dall’Unicef per gli aiuti ai bambini dei paesi africani o dei paesi colpiti dalle missioni di pace come la Siria o lo Yemen: qui manca tutto, dalle coperte per affrontare l’inverno nelle tendopoli ai 14.000 teli di plastica per proteggersi dalla pioggia e perfino ai vestiti per bambini, ne sono stati distribuiti 10.000 solo in una regione dello Yemen. Mancano anche i kit scolastici e perfino il cloro per evitare il contagio di infezioni veicolate dall’acqua impura. I soldi per fare tutto questo spesso non finiscono prima del previsto: nell’ambito del Piano di risposta umanitaria all’emergenza in Siria varato dall’Onu nel dicembre scorso, l’Unicef ha lanciato un appello per raccogliere 68 milioni di dollari (un’inezia rispetto a quanto i paesi più “sviluppati” spendono in armi e armamenti che poi lanciano su questi territori) per far fronte alla situazione nei settori “Acqua, Igiene, Salute, Nutrizione, Istruzione e Assistenza psicologica”. Eppure ad oggi, meno del 20% di questa somma è stata raccolta.
Stessa carenza per i servizi dell’Unrwa a favore dei rifugiati palestinesi in Cisgiordania, Gaza, Giordania, Libano e Siria: il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha presentato un rapporto con il quale incoraggia tutti gli Stati membri a garantire ad Unrwa un sostegno finanziario che sia “sostenibile, prevedibile e sufficiente”. “L’Agenzia è riconosciuta dagli Stati membri come unica e indispensabile. Il contributo offerto da Unrwa in una regione che ha registrato così tanta instabilità è riconosciuto dagli Stati membri a livello trasversale”. Un contributo che deve far fronte alla crisi finanziaria di Unrwa che minaccia “di interrompere la fornitura dei servizi ai 5.3 milioni di rifugiati palestinesi, intensificando la profonda incertezza a cui questa vulnerabile popolazione è già fortemente esposta”. Nell’estate del 2015, a causa delle insufficienti risorse finanziarie, l’Unrwa è stata costretta a rimandare l’apertura delle sue 700 scuole a cui sono iscritti quasi 500.000 studenti.
Non c’è ente delle Nazioni Unite al quale non manchi i fondi per far fronte alle promesse di intervento fatte. E la causa è la mancanza del rispetto delle promesse fatte dalla maggior parte dei finanziatori ovvero gli Stati Membri che in molti casi hanno messo in discussione la concessione di queste somme.
Soldi che da anni vengono promessi e poi non versati nonostante le numerose richieste. Del versamento degli oltre venti miliardi di dollari che la sola l’Italia dovrà pagare annualmente alla Nato, invece, hanno parlato tutti i giornali del mondo.