I tatari di Crimea e la politica neo ottomana turca… incroci tra Kiev, Ankara e Mosca

di Lorenzo Pallavicini

Il ruolo della Turchia nel conflitto russo ucraino vede un forte attivismo sia con l’Ucraina, in cui la opposizione turca al riconoscimento della Crimea russa è elemento essenziale, sia con la Federazione Russa, non punita con sanzioni economiche da Ankara, che anzi avvia infrastrutture strategiche come la futura centrale nucleare di Akkuyu con i fondi russi della agenzia statale Rosatom per l’energia atomica.
Sebbene Mosca condivida con Erdogan la propensione all’autocrazia e il rigetto di diversi valori occidentali, il rifiuto turco alla Crimea russa rappresenta un forte attrito, poiché entrambe le potenze ambiscono ad un ruolo egemone nel Mar Nero, anche in relazione alle comunità della propria sfera di influenza, i russofoni per Mosca e i turcofoni per Ankara, tra cui i tatari della Crimea rappresentano una parte piccola ma influente.
I tatari crimeani, circa 300mila persone, sono discendenti di coloro che arrivarono in Crimea nel XV secolo a seguito dell’Orda d’Oro di Gengis Khan. Essi ne hanno conservato usi e costumi nonchè la fede islamica, e da quando nel 1783 la penisola venne annessa all’impero russo, in seguito alla guerra con gli Ottomani, hanno subito ciclicamente politiche di russificazione forzata, espropri arbitrari ed espulsioni.
Nel 1944 si verificò la deportazione dei tatari, ordinata da Stalin dopo la cacciata dei nazisti dalla penisola, in remote località nell’Asia centrale, odierno Uzbekistan, un esilio forzato durato fino alla perestrojka di Gorbachev quando i tatari poterono tornare in Crimea, nel 1991, inglobata nella Ucraina indipendente.
I tatari, memori del trattamento riservato loro dai russi, hanno visto con favore la Crimea nell’ambito della Ucraina indipendente, che a sua volta ha visto in essi un argine ai forti legami della comunità russa della penisola con Mosca.
A seguito della occupazione russa della Crimea dopo i fatti dell’Euro Maidan, i tatari hanno subito nuove politiche vessatorie, a partire dal referendum crimeano sulla autodeterminazione del 2014 che ha visto diversi esponenti della comunità arrestati o silenziati dalle autorità locali filorusse, in modo da non poter incidere sul risultato di tale consultazione.
Molti tatari hanno scelto di lasciare la penisola a causa di tali trattamenti e si sono rifugiati nel resto dell’Ucraina, persino in zone dove la comunità in precedenza non era presente se non in numero molto limitato, come nell’estremo occidente del paese.
La politica neo ottomana del presidente Erdogan è una delle stelle polari della accresciuta influenza turca nel mondo mediterraneo e nel mar Nero, dove la Turchia è la seconda potenza militare, con la podestà sullo stretto del Bosforo, accesso indispensabile ed obbligato per le navi russe ed ucraine sia commerciali che militari.
Tale dottrina ritiene cruciale mantenere attivi i canali culturali, linguistici, religiosi e commerciali con la popolazione turcofona e islamica che dopo la caduta dell’impero ottomano, uno dei più vasti della storia umana, si è dispersa tra tanti stati diversi tra Asia, Federazione Russa e Medio Oriente mantenendo però ad Ankara il ruolo di faro della turcofonia nel mondo.
I tatari di Crimea sono uno dei dossier principali della politica estera di Ankara nel mar Nero e l’avvicinamento a Kiev ha rappresentato un rafforzamento della influenza turca nell’area e della egemonia nella relativa comunità islamica, con finanziamenti di moschee e l’apertura di un consolato dei tatari di Crimea presso la capitale turca.
L’Ucraina non per caso ha come viceministro agli esteri una esponente della comunità tatara, Emine Dzhaparova, ed ha chiesto nel 2020 di entrare a far parte del consiglio turco, organismo nato nel 2009 per promuovere i legami tra nazioni turcofone, anche per aumentare l’isolamento di Mosca, che non trova potenze nella regione del Mar Nero disposte ad assecondarla sulla questione della Crimea.
Il destino dei tatari crimeani appare uno degli aspetti che dovrebbero entrare nel tavolo delle trattative per stabilire il futuro della Crimea che, se si esclude l’opzione di sconfitta militare totale russa, dovrà vedere quale destino riservare ai tatari che, legittimamente, avrebbero diritto a poter rientrare in Crimea, avendo peraltro nel governo turco uno dei loro principali “sponsor”.
Tuttavia, appare difficile trovare un accordo, anche per le politiche del governo russo attuate nella penisola dopo il 2014, una rimozione forzata delle culture estranee a quella russa, con Mosca consapevole degli orientamenti politici dei tatari di Crimea, a larga maggioranza favorevoli all’autorità di Kiev.
Il ruolo della Turchia, seppur potenza regionale con il secondo esercito NATO al mondo, non appare sufficiente per convincere i russi a fare concessioni sui tatari, anche per il rischio per Mosca di dare nuova linfa, a livello interno, ad alcune repubbliche autonome russe, ad esempio i tatari di Kazan, che potrebbero rivendicare maggiore autonomia da Mosca, un principio di disgregazione che per Putin è una minaccia alla sicurezza nazionale.