Il bioterrorismo rappresenta ancora una minaccia?

di Manuele Scardaccio * –

Discussioni sulla la necessità di sviluppare un piano di risposta alla minaccia bioterroristica, sono sempre state presenti dagli Anni ’90, da quando gravi episodi come l’invio di lettere contaminate di antrace negli Stati Uniti o l’attacco chimico nel cuore della metropolitana di Tokyo che portò alla morte di 12 persone e di oltre 6mila intossicati, ha accentuato il senso generale di vulnerabilità rispetto a questo nuovo tipo di minaccia e ha riproposto in modo più inquietante il dubbio sulla possibile impreparazione agli attacchi di massa e tutto questo a fronte di miliardi investiti dalle varie amministrazioni nazionali.
Lo scorso giovedì a New York, durante l’annuale meeting sulla Biodefense organizzato dal gruppo di studio Blue Ribbon, alcuni esperti in materia hanno discusso riguardo la necessità di dedicarsi ancora di più alla costituzione di un piano di risposta sempre più efficace per mitigare ed eliminare attacchi di bioterrorismo, ed hanno proposto, come obiettivo principale, il costituirsi di una massiccia ricerca nazionale pubblico-privata sulle orme del Progetto Manhattan, al fine sviluppare strategie e contromisure che avrebbero difeso gli Stati Uniti contro le minacce biologiche.
Agenti biologici quali antrace, peste, brucellosi, vaiolo, encefaliditi virali e febbri emorragiche virali sono, a differenza dei classici attacchi militari, invisibili e silenziosi e quindi estremamente difficili da identificare; sono relativamente facili e poco costosi da produrre, causano la morte o malattie invalidanti e possono essere aerosolizzati e distribuiti su vaste aree geografiche. Se rilasciati in circostanze ambientali ideali questi agenti possono infettare centinaia di migliaia di persone e causare molte morti.
Inoltre un attacco bioterroristico può essere difficile da distinguere da un’epidemia dovuta da una malattia infettiva che si verifica in natura. Gli investigatori devono dapprima esaminare l’eziologia e l’epidemiologia di una malattia per identificare la fonte, la modalità di trasmissione e le persone a rischio. Alcuni indizi potrebbero indicare se un’epidemia è il risultato del rilascio deliberato di agenti patogeni. Le malattie che si verificano in natura sono endemiche in certe aree e comportano cicli di trasmissione tradizionali; alcune malattie si verificano stagionalmente e casi sentinella non sono rari. Al contrario un’epidemia di malattia dovuta al bioterrorismo potrebbe verificarsi in un’area non endemica, in qualsiasi momento dell’anno, senza preavviso e, a seconda dell’agente eziologico e della modalità di trasmissione, in grandi quantità: migliaia di casi potrebbero verificarsi all’improvviso.
Sembra quindi probabile che nel prossimo futuro un agente biologico già noto o addirittura ex-novo, fatto in laboratorio per mezzo di modificazioni genetiche spontanee o indotte, possa essere usato come arma da terroristi o anche da Stati che non hanno ratificato le convenzioni internazionali per l’eliminazione di armi chimiche e biologiche.
Mantenere un’efficace sorveglianza delle malattie rappresenta il primo passo essenziale nella preparazione ed è importante per aiutare i funzionari delle forze di risposta alla crisi per reagire rapidamente. Garantire un’adeguata capacità epidemiologica e di laboratorio a livello nazionale sono prerequisiti per sistemi di sorveglianza efficaci. I preparativi devono anche includere piani per la rapida identificazione e caratterizzazione degli agenti coinvolti e per la distribuzione di emergenza di grandi quantità di forniture mediche, in particolare antibiotici e vaccini.
In conclusione la minaccia bioterroristica è e permane una minaccia concreta e i vari governi nazionali dovrebbero rimanere proattivi ed essere pronti a rispondere, alle sfide principali, attraverso l’istruzione e la formazione su questa tipologia di minaccia e sulle sue potenziali conseguenze.

* Intern presso NATO Defence College Foundation, analista CBRN.