Il Messico è il primo stato latinoamericano per ingresso di dollari tramite rimesse

di Marco Dell’Aguzzo –

MessicoCon ‘rimessa’ si indica il trasferimento di denaro da un paese all’altro, generalmente effettuato da un lavoratore immigrato verso le famiglie rimaste nel paese d’origine.
La rimessa è uno dei fili che lega l’economia degli Stati Uniti con quelle dell’America Latina, e rappresenta per quest’ultime, tra le tante cose, una delle principali modalità di ingresso di valuta estera al loro interno. Lo stato latinoamericano che più di tutti gli altri trae beneficio da questo fenomeno è il Messico, che supera il Guatemala (con otto miliardi di dollari annui), la Repubblica Dominicana (più di quattro miliardi e mezzo) ed El Salvador (quattro miliardi e 270 milioni circa).
Come riportato su “SinEmbargo MX”, La percentuale di ‘lana’, di ‘feria’ (voci gergali messicane per ‘denaro’) statunitense sfociata in Messico in quest’ultimo anno è positiva, +2,9%; per il 2016 ci si aspetta addirittura un’ulteriore crescita, e di raggiungere così il +4,9%. Traducendo queste percentuali, si parlerebbe di una cifra che oscilla tra i 24 e i 25 miliardi e mezzo di dollari: il Messico si starebbe riavvicinando, se le stime si riveleranno corrette, ai valori del 2007, i più alti mai registrati finora, con un flusso annuo di 26 miliardi di dollari.
Stando ad uno studio realizzato dalla Fundación BBVA Bancomer sul primo trimestre del 2015, l’aumento delle rimesse sarebbe dovuto alla ripresa dell’economia e dell’occupazione in territorio statunitense. Dei quasi dodici milioni di messicani che vivono negli USA (l’11,5% del totale degli immigrati in territorio americano), l’86% di loro sono economicamente attivi e produttori di ricchezza; sono quasi tutti lavoratori dipendenti e il loro reddito annuo si aggira tra i 10mila e i 29mila dollari, ma c’è un 28% che vive in condizioni di povertà.
I dollari sono maggiormente inviati verso gli stati messicani di Michoacán, Guerrero, Guanajuato e Stato del Messico; si inizia a registrare un incremento delle entrate dovuto alle rimesse in quelli di Coahuila, Sonora e Bassa California.
La vita dei migranti messicani negli ‘Estados Unidos’ è tutt’altro che facile, anche se le percentuali porterebbero ad interpretarla con ottimismo. Non bisogna anzitutto dimenticare che dietro quelle degli “sconfitti” (disoccupati, poveri…) ci sono degli esseri umani, e che anche dietro ai tanti “dipendenti” si nascondono in realtà dei lavoratori informali. O dimenticare che quelli che scelgono di migrare verso ‘El Norte’ sono solitamente giovani con un basso livello d’istruzione, ai quali il Messico non offrirebbe grandi speranze, e poche e basse sono anche quelle che ricevono nel ‘Paese delle opportunità’. Le leggi repressive in materia di immigrazione, poi, fanno sì che praticamente il numero di messicani che devono rientrare in Messico sia lo stesso di quelli che se vanno.
E non bisogna dimenticare l’odio e i pregiudizi, fomentati addirittura da candidati repubblicani alle presidenziali che li dipingono come stupratori e narcotrafficanti che arrivano dalla frontiera sud a “portarci i loro problemi” (ma i cittadini americani non sembrano pensarla allo stesso modo, secondo i sondaggi). Donald Trump (che ama i messicani, sia ben chiaro) ha anche detto che bisognerebbe costruire un “grande, grande muro” al confine col Messico per bloccare i migranti perché “il Messico fa una fortuna grazie a noi [gli Stati Uniti, ndr]. Un muro è una minuscola nocciolina al confronto”. Come se di muri a dividere i paesi non ce ne fossero già due, poi.

Twitter: @marcodellaguzzo