Il papa invita l’agnello Peres. Ma per incidere doveva far venire a Roma il lupo Netanyahu

di Enrico Oliari –

bergoglio peres netanyahuSi è svolto domenica 8 giugno l’annunciato momento di preghiera presso i Giardini vaticani fra papa Bergoglio, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen (Mahmoud Abbas), quello israeliano Shimon Peres e il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo: l’invito era stato fatto dallo stesso pontefice in occasione della recente visita in Terra Santa ed è stato un momento di preghiera e di rafforzamento della reciproca fiducia laddove la politica è bloccata dai reciproci veti.
Per quanto tutto ciò che parla di pace e di riavvio del dialogo israelo-palestinese sia oro colato, specialmente alla luce dell’ormai appurato fallimento della mediazione del Segretario di Stato Usa John Kerry, va osservato che a determinare in Israele la politica dello scontro non è il presidente dello Stato, bensì il premier Benjamin Netanyahu, basti pensare che il ministro dell’Edilizia Uri Ariel annuncia ormai quasi settimanalmente la costruzione di nuovi alloggi nei Territori occupati (e forse anche su questo concetto, “Territori occupati”, andrebbe avviata una riflessione).
A dimostrazione che a chi conta realmente in Israele interessi poco o nulla dell’iniziativa del pontefice, vi è il bando di gara per la costruzione di 1500 nuovi alloggi pubblicato solo tre giorni prima dell’incontro vaticano: si tratta di 1.100 abitazioni nelle colonie in Cisgiordania e di altre 400 in quelle di Gerusalemme Est, un annuncio fatto dallo stesso Ariel, il quale ha dichiarato che “Israele ha il diritto e il dovere di costruire in tutto il Paese”, dove per “Paese” si intende tutto, dai confini con il Libano fino a quelli con l’Egitto, dal Mediterraneo fino alla Giordania, senza l’esistenza di uno Stato palestinese.
La costruzione degli alloggi nei Territori occupati è un treno senza freni che procede la sua corsa da anni e che non si è mai arrestato nonostante le Risoluzioni Onu, gli inviti dei “Paesi amici”, la decisione dell’Unione europea di rompere i rapporti con le banche e le organizzazioni che operano o finanziano attività nelle colonie e persino gesti come lo storico richiamo dei propri ambasciatori da parte di Francia e Gran Bretagna nel dicembre 2012.
Insomma… se ne fregano. E se se ne fregano, perché dovrebbero tenere in considerazione una gita a Roma dell’inutile Capo dello Stato e una preghiera di un papa cattolico e del nemico di sempre, Abu Mazen?
E proprio Abu Mazen ha capito che, davanti ad un Israele che da sempre dice una cosa, ma poi ne fa un’altra, ha capito che l’unico santo a cui votarsi è la comunità internazionale, magari passando dalla recentissima riappacificazione con Hamas, partito più radicale egemone nella Striscia, e sottoscrivi vendo sempre più accordi internazionali, in modo che, nonostante la netta contrarietà di Tel Aviv, la Palestina possa finalmente essere uno Stato.

Nella foto: Abu Mazen e Shimon Peres si stringono la mano presso i Giardini vaticani, davanti a papa Bergoglio