Il Tibet, “conquistato” per le risorse naturali

 di Gaetano De Pinto –  

TibetIn un mondo, quello occidentale, caratterizzato da un prevalente pensiero unico inculcato da mezzi di informazione, per la maggior parte finanziati direttamente dalla politica o da grandi multinazionali, non è difficile trovare chi sventola bandierine ed inneggia a questioni come quella tibetana. Una moda quasi radical-chic che porta gli occidentali all’apoteosi dell’ipocrisia, siano essi semplici cittadini, o governanti e rappresentanti delle Istituzioni.  Un modo per liberarsi le coscienze di chi crede di essere vittima di un regime anti-democratico, salvo poi poter sbeffeggiare il politico di turno, o di chi crede di vivere miseramente, salvo poi acquistare capi di alta moda fabbricati proprio in posti come il Tibet, in condizioni disumane. Come in molti altri precedenti storici, la questione tibetana suscita interesse nei popoli “civili” che vedono nell’occupazione cinese, la sistematica distruzione un nuovo Eden che nell’immaginario collettivo è fatto di monaci atti alle arti marziali, alla ricerca del nirvana e della pace interiore. Ovviamente sono gli stessi popoli “civili” che hanno affidato alla Cina l’organizzazione dei giochi olimpici o che invitano i potenti cinesi nei vari consessi finanziari o che scelgono di delocalizzare in Cina le proprie aziende. Quindi per parlare di questione tibetana, oggi, è necessario capire i perché di questa occupazione, e le condizioni reali di una regione, diventata un vero “bancomat” di risorse naturali per la madre Cina. La storia tibetana, in realtà si intreccia poche volte con quella cinese, a differenza per esempio di quanto dichiarato ufficialmente dal governo di Pechino per legittimare l’annessione della regione. Nel periodo che va tra il I secolo a.c. e il IX secolo d.c. il Tibet è arrivato persino ad occupare la Cina, arrivando alle porte della capitale cinese (Xian attuale). La loro storia si intreccia nuovamente tra il IX ed il XIII secolo, quando, sotto il regno dei mongoli, vengono uniti in un unico gruppo politico. Questo è il passaggio storico cruciale che determina di fatto l’occupazione cinese, in nome di una storica e lontana appartenenze del Tibet alla Cina. In realtà, come già accennato, l’occupazione cinese ai danni dei tibetani è da ricercarsi nel mero sfruttamento delle risorse minerarie di quel territorio e nella creazione di un importante passaggio commerciale verso Ovest. Il colonialismo cinese ha di fatto ridotto la popolazione autoctona a minoranza nel loro stesso territorio, con numeri da far rabbrividire: 6 milioni di tibetani contro 7,5 milioni di cinesi. Lo spostamento sistematico dei cinesi, in regioni del Tibet in cambio di agevolazioni economiche, l’impossibilità di ricevere un’educazione tibetana, di studiare la lingua tibetana ed addirittura di poterla parlare, il divieto di esporre l’immagine del Dalai Lama onde evitare l’esproprio delle terre, il continuo ricorrere ad arresti sommari specie delle guide religiose, l’impossibilità di accedere ad un minimo di istruzione, ha di fatto cancellato non solo l’indipendenza politica, ma una cultura millenaria. Come ogni situazione critica nel mondo, le risoluzioni Onu e di molti Paesi “occidentali, atte a favorire il rispetto dei diritti umani da parte dei cinesi, si sprecano, inflazionandosi e finendo come sempre più nel dimenticatoio generale, in attesa dello sventolio di un’altra bandierina che abbia più appeal.