Inf: Russia e Usa guardano la Cina e incrementano i missili. Il campo di battaglia? L’Europa

di Dario Rivolta * –

Presumibilmente attorno al 5 febbraio dovrebbe scadere l’ultimatum che il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha lanciato affinché Mosca si “adegui” e rispetti le clausole previste dal Trattato INF (Intermediate range Nuclear Forces). Se i russi rifiutassero l’ultimatum, gli Usa uscirebbero dall’accordo e si sentirebbero liberi da ogni vincolo. L’accusa che gli Stati Uniti fanno alla Russia è di aver violato gli accordi producendo e mettendo in campo il missile SSC-8, che avrebbe una portata di più di 1500 km e potrebbe portare testate atomiche. I russi hanno (recentemente) ammesso di avere un nuovo tipo di razzi, che loro chiamano 9M729, ma senza le caratteristiche proibite dal Trattato.
L’INF fu firmato nel lontano 1987 ed entrò in vigore l’anno successivo. L’intesa prevedeva che le due sole superpotenze di allora rinunciassero alla produzione e alla messa in uso di tutti i missili lanciabili da terra con un raggio d’azione compreso tra i 500 e i 5500 km.
La scelta di quelle distanze non fu casuale perché corrispondeva esattamente alla possibilità che lo scenario di una possibile guerra missilistica tra i due fosse l’Europa. Non venivano infatti esclusi i missili intercontinentali né quelli ritenuti più “tattici”, cioè con portate inferiori ai 500 km. All’epoca la conseguenza di quell’intesa fu l’eliminazione dal nostro continente di tutti i missili con le caratteristiche previste dal Trattato.
Al momento è difficile stabilire se il missile russo, oggetto del contendere e definito dalla Nato come “Screwdriver” (“cacciavite”) violi veramente oppure no le prescrizioni previste, ma qualunque sia la verità vengono spontanee diverse considerazioni.
La prima è che entrambi gli attori stanno giocando sulle nostre teste. L’INF, così come l’altro Trattato detto New Start, consentì sia a Washington sia alla Mosca sovietica di fermare la corsa agli armamenti che proseguiva da decenni e durante la quale a ogni nuovo strumento bellico creato da un esercito rispondeva nell’altro schieramento uno dalle stesse capacità. La ragione di quella “rincorsa” stava nella reciproca dissuasione. Gli accordi consentirono di porre fine alla “gara” e di destinare risorse ad altri scopi, riducendo anche il rischio di uno scontro che sarebbe stato letale per tutti noi europei. Era qui infatti che si sarebbe svolto lo scontro missilistico. Si è accennato sopra anche al New Start (New Strategic Arms Control Treaty) che scadrebbe normalmente nel 2021 perché nessuno può escludere che la disdetta di un Trattato sia propedeutica anche alla disdetta del secondo.
Purtroppo, da molto tempo entrambi i contendenti si parlavano per interposta persona sulla necessità di rivedere l’accordo sui missili a medio raggio. Donald Trump, probabilmente anche per motivi di politica interna, ha posto formalmente il problema annunciando le sue intenzioni in merito durante un comizio in Nevada il 19 ottobre scorso. Prima di lui però, già nel marzo, l’ammiraglio americano Harry Harris (oggi ambasciatore in Corea del Sud) aveva sostenuto davanti alla Commissione Difesa del Senato la necessità di rinunciare a rispettarlo poiché la Cina, non firmataria, si era dotata di missili come quelli proibiti dal Trattato e gli Usa non avevano nulla da contrapporgli. Mesi prima anche Bolton e il consigliere per gli Armamenti nel National Security Council, Tim Morrison, avevano sostenuto gli stessi argomenti aggiungendo che il New Start era oramai un problema. Nel novembre 2017 il Wall Street Journal aveva scritto che, infischiandosene dei limiti posti dal Trattato, i militari americani stavano progettando un tipo di missile che aveva le caratteristiche proibite. Un’altra coincidenza interessante si trova in un articolo del New York Times del febbraio 2017 nel quale, alludendo a fonti anonime del Governo di allora, si sosteneva che i russi avessero dotato ben due loro battaglioni di piattaforme mobili terrestri adatte al lancio di missili come quelli oggi incriminati. La notizia fu prontamente smentita da Mosca, ma ciò che conta è che servì a giustificare tutte le dichiarazioni e le accuse successive. Viste quelle premesse, per il Congresso fu gioco facile approvare nel 2017 il National Defense Authorization Act per l’anno fiscale 2018 e stanziare 58 milioni di dollari per lo sviluppo di “contromisure difensive” su di un programma riguardante, appunto, missili a medio raggio lanciabili da terra.
Anche da parte russa furono in più riprese lanciate accuse agli americani di non rispettare i patti e lo stesso Vladimir Putin aveva dichiarato che la Russia sarebbe uscita dal Trattato se gli Usa avessero stanziato in Europa intercettori terrestri per missili balistici. In altre occasioni aveva aggiunto che l’INF stava bloccando i missili a medio raggio in Russia e negli Stati Uniti ma altri Paesi che non l’avevano sottoscritto continuavano a produrne e dotarsene.
Che il vero obiettivo di entrambi siano la Cina, la Corea del Nord e altri Paesi percepiti come potenzialmente pericolosi è quindi molto probabile. Com’è altrettanto probabile che prima dello scadere dell’ultimatum Mosca e Washington possano concordare variazioni anche importanti al loro accordo precedente. Lo farebbero pensare le dichiarazioni sia di Trump sia di Putin. Il primo ha detto che ”A meno che la Russia venga da noi e così faccia la Cina e tutti e due ci dicano che tutti dovremmo diventare più furbi e nessuno possa sviluppare tali armi, noi non resteremo i soli a rispettare quell’accordo”. Da parte sua il ministro Sergei Lavrov ha sostenuto in un concetto ripreso da Putin che la Russia “E’ pronta per un dialogo tra eguali, qualora gli Usa fossero anch’essi pronti per tale conversazione”. Naturalmente nelle dichiarazioni ufficiali nessuno fa esplicito riferimento a Pechino: i russi per le ragioni ben conosciute che vedono le due capitali temporaneamente alleate, gli americani per non mostrarsi preoccupati della cosa. A ogni osservatore è tuttavia chiaro che non soltanto gli Usa, ma anche Mosca non può essere tanto contenta di vedere la potenza cinese crescere a dismisura senza poter starle almeno alla pari.
Nasce qui però la seconda osservazione. Qualunque siano i veri motivi e qualunque calcolo stia dietro le mosse delle due superpotenze, la conseguenza della fine di quell’accordo significherà che tutta l’Europa tornerà a ospitare basi ed essere l’obiettivo di automatiche ritorsioni. Esattamente come succedeva durante la Guerra Fredda. Non è pura fantasia perché entrambi i governi saranno “obbligati” a farlo, se non altro per motivi d’immagine interna e per non evidenziare che tutto succede a causa della Cina. Non dimentichiamo poi che resta ancora del tutto aperto il “problema Ucraina” e qualche “falco” americano non ha ancora rinunciato a considerare quel Paese come “cosa nostra”.
Avere missili a medio raggio sui nostri territori significa dunque che, in caso di qualunque possibile conflitto, il campo di battaglia sarà l’Europa. E’ allora paradossale che decisioni su tali argomenti siano prese sulle nostre teste e senza nemmeno che noi europei si sia coinvolti, o almeno in qualche modo consultati. D’altra parte, giacché l’Europa finge soltanto di essere “unita”, quanto pesa la voce di ogni singolo Stato membro? Pressoché nulla! Perché dunque coinvolgerci? Che l’Europa sia politicamente una finzione cui nessuno crede Trump lo sa benissimo. Non per caso Washington ha deciso, senza nemmeno informare la Commissione, che d’ora in avanti non riconoscerà più agli organi europei negli Stati Uniti lo status di istituzioni governative ma soltanto quello dovuto a una qualunque organizzazione internazionale. In altre parole ci tratteranno come (purtroppo) veramente siamo: soltanto una zona di libero mercato.
Soltanto un’Europa Unita, con un’unica politica estera, con un unico esercito avrebbe la forza per dire “A quel tavolo, visto che comunque ci riguarda, ci vogliamo stare anche noi!”.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali..