di Giuseppe Gagliano –
Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha accusato Benjamin Netanyahu di voler trascinare gli Stati Uniti in un “disastro” regionale, mettendo in guardia contro qualsiasi attacco a Teheran. In un messaggio su X Araghchi ha puntato il dito contro il premier israeliano, reo di “dettare spudoratamente” la linea diplomatica di Donald Trump nei confronti dell’Iran.
Le parole di Araghchi non sono un semplice sfogo. Arrivano in un momento di tensione altissima, dopo il rinvio dei colloqui sul nucleare tra Iran e Stati Uniti, previsti per il 3 maggio in Oman e posticipati per “ragioni logistiche”. Dal 12 aprile, i due Paesi hanno tenuto tre round di negoziati, i più intensi da quando Washington si ritirò unilateralmente dall’accordo nucleare del 2015 (JCPOA). Ma le posizioni restano lontane: Netanyahu, il 27 aprile, ha chiesto lo smantellamento totale del programma nucleare iraniano, anche per scopi civili, mentre Trump, il 4 maggio, ha aperto a un possibile uso civile, pur insistendo sul “totale smantellamento” delle capacità militari.
Araghchi ha esortato gli USA ad abbandonare posizioni “irrealistiche” e ha ribadito la disponibilità di Teheran a riprendere i colloqui con Francia, Germania e Regno Unito, firmatari dell’accordo del 2015. In una telefonata con Kaja Kallas, alta rappresentante UE per gli affari esteri, ha sottolineato che l’Iran può dissipare i timori su un’arma nucleare, ma vuole un accordo “realizzabile”. Teheran nega da sempre di puntare al nucleare militare, insistendo sulle finalità civili del suo programma.
Ma non è solo una questione di diplomazia. Il 4 maggio, l’Iran ha svelato un nuovo missile balistico a combustibile solido con una portata di 1.200 km, un messaggio chiaro a chi minaccia il Paese. “Se attaccati, risponderemo con forza, colpendo gli interessi e le basi dei nostri nemici”, ha dichiarato il ministro della Difesa Aziz Nasirzadeh, puntando il dito contro le basi USA nella regione. Teheran, però, esclude dai negoziati il suo programma missilistico, considerato una linea rossa.
Le accuse di Araghchi si concentrano anche sul ruolo di Israele. Il ministro iraniano ha definito il sostegno USA alla guerra di Israele contro Hamas a Gaza un “genocidio” e ha criticato gli attacchi americani contro gli Houthi nello Yemen, visti come una guerra “per conto di Netanyahu”. Dall’altra parte, il Segretario di Stato USA Marco Rubio, il 2 maggio, ha chiesto all’Iran di rinunciare all’arricchimento dell’uranio, sostenendo che solo i Paesi con armi nucleari lo fanno. Trump, meanwhile, ha minacciato attacchi militari se la diplomazia fallirà, accompagnando le parole con nuove sanzioni al settore petrolifero iraniano.
Il Medio Oriente è una polveriera. Israele, con il sostegno americano, continua a premere sull’Iran, mentre Teheran risponde con una retorica infuocata e dimostrazioni di forza. Il rischio è che un errore di calcolo trasformi le parole in guerra, con conseguenze devastanti per la regione e oltre.
Le radici di un’ostilità senza fine: Iran, Israele e l’ombra degli USA
L’antagonismo tra Iran e Israele non è una novità, ma un capitolo di una storia che si intreccia con le ambizioni regionali, le alleanze globali e le ferite del passato. Tutto inizia con la Rivoluzione Islamica del 1979, quando l’Iran di Khomeini ruppe con l’Occidente e si trasformò in un faro della resistenza anti-israeliana. Per Israele, l’Iran rivoluzionario divenne una minaccia esistenziale, non solo per la sua retorica anti-sionista, ma per il sostegno a gruppi come Hezbollah e Hamas.
Negli anni ’80 e ’90, l’ostilità crebbe, ma rimase indiretta. Israele, con il tacito supporto USA, rafforzò la sua supremazia militare, mentre l’Iran sviluppava un programma nucleare che, pur dichiarato civile, alimentava sospetti. L’accordo nucleare del 2015 (JCPOA), firmato con le potenze del P5+1, sembrava un punto di svolta: l’Iran accettava restrizioni al suo programma in cambio della revoca delle sanzioni. Ma il ritiro unilaterale degli Stati Uniti nel 2018, sotto Trump, fece crollare tutto, riaccendendo le tensioni.
Israele ha sempre visto nell’Iran una minaccia strategica. Gli attacchi attribuiti al Mossad contro scienziati nucleari iraniani e le operazioni cibernetiche, come Stuxnet, sono stati un tentativo di sabotare il programma di Teheran. L’Iran, dal canto suo, ha risposto rafforzando le sue milizie proxy nella regione – da Hezbollah in Libano agli Houthi nello Yemen – e sviluppando missili balistici sempre più avanzati.
Gli Stati Uniti, stretti alleati di Israele, hanno oscillato tra diplomazia e pressione. Le sanzioni, le minacce militari e il sostegno a Israele hanno dominato la politica americana, ma non senza costi. La guerra a Gaza, iniziata nell’ottobre 2023, e gli attacchi Houthi nel Mar Rosso hanno complicato ulteriormente lo scacchiere, con l’Iran accusato di orchestrare una rete di resistenza contro l’asse USA-Israele.
Oggi, nel 2025, il Medio Oriente è un campo minato. L’Iran, isolato ma determinato, usa il suo programma nucleare come leva diplomatica e arma di dissuasione. Israele, forte del sostegno USA, non esita a provocare. E gli Stati Uniti, sotto la guida di Trump, si trovano intrappolati in un gioco dove ogni mossa rischia di innescare una crisi più grande. La pace sembra lontana, e il futuro del Medio Oriente pende sul filo di una lama.