Iran. Petrolio: gli Usa sanzionano aziende in Cina, Turchia ed Eau

di Giuseppe Gagliano

Gli Stati Uniti d’America hanno annunciato un pacchetto sanzionatorio di vasta portata contro reti economiche e logistiche accusate di sostenere la macchina militare dell’Iran. Il Bureau of Industry and Security (BIS) del Dipartimento del Commercio ha aggiunto 29 nuove voci alla lista ristretta, tra cui 26 entità e tre indirizzi, colpendo 19 aziende in Cina, 9 in Turchia e una negli Emirati Arabi Uniti. Washington le accusa di aver facilitato l’acquisto di componenti elettronici statunitensi impiegati in droni armati usati da milizie filo-iraniane, tra cui i ribelli Houthi in Yemen e Hamas a Gaza.
Il provvedimento vieta a queste aziende di ricevere esportazioni dagli USA senza una specifica licenza governativa, con l’avvertenza che tali richieste saranno presumibilmente negate per motivi di sicurezza nazionale. Tra i soggetti colpiti figurano due filiali della statunitense Arrow Electronics — a Shanghai e Hong Kong — segnale che Washington intende colpire non solo attori diretti, ma anche canali di distribuzione globali.
Parallelamente, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha imposto sanzioni su circa 100 entità, individui e navi, con l’obiettivo di disarticolare la rete che sostiene l’export petrolifero iraniano. Tra i bersagli principali vi è lo Shandong Jincheng Petrochemical Group, definito “raffineria indipendente” nella provincia cinese di Shandong, accusato di aver acquistato milioni di barili di petrolio iraniano dal 2023, e il terminale portuale Rizhao Shihua Crude Oil Terminal, ritenuto snodo cruciale per lo sbarco di greggio proveniente dalla cosiddetta “flotta ombra” iraniana.
Le petroliere Kongm, Big Mag e Voy sono tra le imbarcazioni identificate dal Tesoro per aver trasportato milioni di barili verso il porto di Lanshan. Secondo Washington, i proventi di queste operazioni finanziano i programmi nucleari e missilistici di Teheran, oltre a sostenere i gruppi armati regionali. L’Iran ribatte sostenendo che il proprio programma nucleare ha scopi esclusivamente pacifici.
Le nuove sanzioni arrivano poche ore dopo la firma di un accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas, a dimostrazione di come Washington intenda usare la leva economica anche per condizionare gli equilibri nel Medio Oriente. Il segretario al Tesoro, Scott Bessent, ha sottolineato che “l’obiettivo è degradare il flusso di cassa iraniano colpendo gli ingranaggi principali della macchina energetica di Teheran”.
Il presidente Donald Trump ha ribadito che, pur aprendo a una collaborazione diplomatica, gli Stati Uniti non consentiranno all’Iran di sviluppare un’arma nucleare. In questo quadro, Washington punta a ridurre la capacità di Teheran di proiettare influenza nella regione, colpendo direttamente la rete finanziaria e logistica che sostiene il suo apparato militare.
Le misure includono anche la designazione di Jiangyin Foreversun Chemical Logistics, primo terminale cinese ufficialmente accusato di ricevere prodotti petrolchimici iraniani. L’inserimento di oltre due dozzine di navi battenti bandiere di diverse nazioni nella lista nera conferma la volontà statunitense di smantellare l’intero ecosistema che consente all’Iran di aggirare le sanzioni precedenti. Dall’inizio dell’anno, Washington ha già colpito 166 imbarcazioni legate al commercio petrolifero iraniano.
La mossa non riguarda solo Teheran. Serve anche da messaggio indiretto a Pechino, Ankara e Abu Dhabi: sostenere, direttamente o indirettamente, il circuito economico iraniano ha un costo crescente. In prospettiva strategica, si tratta di un’operazione di contenimento multilivello che incrocia economia, energia e sicurezza, ridisegnando i margini di manovra dei principali attori asiatici e mediorientali.