Iran. Putin frena Trump

di Giuseppe Gagliano

Nel crescente disordine geopolitico mediorientale, la Russia ha alzato la voce per ammonire pubblicamente gli Stati Uniti: un attacco contro l’Iran sarebbe un passo verso l’abisso. La dichiarazione, giunta per bocca della portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, è stata perentoria: qualunque azione militare intrapresa da Washington contro Teheran comporterebbe “conseguenze negative imprevedibili”. Dietro il linguaggio della diplomazia, si cela l’avvertimento di una potenza che non intende restare spettatrice passiva mentre la regione si avvicina pericolosamente al punto di rottura.
Il monito russo non giunge isolato. Solo ieri, Vladimir Putin e Xi Jinping avevano avuto un colloquio telefonico nel quale avevano denunciato congiuntamente le azioni israeliane contro l’Iran come una violazione del diritto internazionale. Entrambi i leader hanno insistito su una soluzione politica alla crisi, segnalando così la volontà di contrastare, a livello narrativo e strategico, l’interventismo occidentale. In questo contesto, Mosca si propone ancora una volta come mediatore, portavoce di una diplomazia multipolare alternativa a quella a trazione atlantica.
Zakharova ha ricostruito l’attivismo diplomatico russo sin dai primi giorni del conflitto scoppiato il 13 giugno, quando Israele ha colpito con attacchi a sorpresa diverse installazioni militari e nucleari iraniane. A seguito di questi eventi, Putin ha parlato non solo con Netanyahu e Pezeshkian, ma anche con Trump, con Erdogan e con Mohamed bin Zayed. Parallelamente, il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha mantenuto contatti con Teheran, Ankara, Il Cairo, Mascate e Baku, senza tralasciare Giacarta. L’obiettivo dichiarato: raffreddare il fronte e riportare il confronto entro binari negoziali.
Ma non si tratta solo di mediazione. Zakharova ha sottolineato che Mosca continuerà a sostenere il programma nucleare civile iraniano, a condizione che venga rispettato il Trattato di non proliferazione nucleare. Ha anche ricordato l’apertura iraniana a un possibile riavvicinamento con Washington, ma subordinata alla cessazione degli attacchi israeliani. In gioco non c’è soltanto la sicurezza regionale, ma il principio della “sicurezza uguale e indivisibile”, cardine della visione strategica russa.
Nel frattempo le ambiguità statunitensi non aiutano. Il presidente Donald Trump ha dichiarato il 18 giugno che sta ancora decidendo se appoggiare militarmente Israele, lasciando intendere che un intervento diretto non sia escluso. Secondo Bloomberg, il Pentagono si starebbe già preparando a colpire. Il Wall Street Journal ha rivelato che un piano operativo è stato approvato da Trump ma tenuto in sospeso in attesa di un “gesto distensivo” da parte iraniana. Intanto, da Teheran, il viceministro Kazem Gharibabadi ha dichiarato che tutte le opzioni sono sul tavolo, in caso di coinvolgimento militare statunitense.
In questo clima di incertezza, Mosca fa valere le sue carte. Il partenariato strategico firmato con Teheran a gennaio e ratificato ad aprile rappresenta la cornice giuridica che dà senso all’attivismo russo. L’accordo prevede cooperazione nella difesa, nell’intelligence e nell’energia nucleare, ma esclude, per ora, clausole di assistenza militare automatica. È un trattato che mira alla convergenza geoeconomica più che all’alleanza militare, comprendente anche progetti comuni nell’oil & gas e l’implementazione di un sistema di pagamenti indipendente dalle valute occidentali. Un’architettura pensata per resistere all’egemonia del dollaro e all’arma delle sanzioni.
Ciò nonostante, la prudenza russa si riflette nei fatti. Mosca ha consegnato a Teheran i sistemi di difesa aerea S-300, ma ha evitato di fornire altri armamenti sensibili, come i caccia Su-35 richiesti da tempo. Un segnale inequivocabile che il Cremlino, pur sostenendo l’Iran, cerca di non compromettere i propri rapporti con Israele. Da parte sua, Tel Aviv ha ricambiato evitando finora forniture di armamenti significativi all’Ucraina, nel contesto della guerra che ormai da tre anni logora il fronte europeo orientale.
Così, mentre l’Occidente si avvita tra ambiguità strategiche e velleità muscolari, la Russia prova a guadagnare spazio come potenza di stabilizzazione, ribadendo il proprio ruolo centrale nel gioco delle crisi. Il suo messaggio è chiaro: l’era delle azioni unilaterali è finita. Chi agirà senza tener conto del nuovo equilibrio multipolare, lo farà a proprio rischio e pericolo.