Israele. Netanyahu sta portando l’Iran a fare guerra agli Usa

di Giuseppe Gagliano –

Il contesto geopolitico attuale, caratterizzato dall’instabilità cronica del Medio Oriente, ha subito un’accelerazione significativa sotto la leadership di Benjamin Netanyahu. La politica aggressiva adottata da Israele ha infatti provocato un’escalation di tensioni, specialmente con l’Iran, che potrebbe condurre a un conflitto di portata devastante. Tant’è che da Teheran è stato fatto sapere che sono state respinte le richieste dei vari attori internazionali di non procedere con la risposta all’assassinio del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh da parte israeliana cos corso 31 luglio Teheran.
Netanyahu ha perseguito una strategia volta a consolidare la sicurezza di Israele attraverso l’annichilimento di qualsiasi minaccia percepita. In questo contesto l’Iran è stato identificato come l’avversario principale, in quanto unico Stato della regione con la capacità militare e la volontà politica di contrastare Israele, soprattutto in virtù del suo sostegno alle cause palestinesi. La narrativa di Netanyahu, che da anni sostiene che l’Iran sia sull’orlo di ottenere armi nucleari, ha avuto il duplice scopo di giustificare la politica israeliana e di mobilitare l’opinione pubblica internazionale, in particolare quella statunitense, verso una posizione di maggiore ostilità nei confronti di Teheran.
Le mosse strategiche di Netanyahu non si limitano alla retorica. Dal ritiro degli Stati Uniti dall’accordo nucleare iraniano nel 2018, che Israele ha fortemente caldeggiato, fino agli attacchi diretti contro esponenti iraniani di alto profilo e figure chiave del movimento palestinese, si è assistito a una serie di provocazioni che sembrano studiate per costringere l’Iran a una risposta militare. L’obiettivo ultimo sembra essere quello di trascinare gli Stati Uniti in un conflitto aperto con l’Iran, un conflitto che Washington ha finora cercato di evitare per ragioni sia interne che internazionali.
Le implicazioni di questa strategia sono profondamente preoccupanti. Innanzitutto un conflitto diretto tra Stati Uniti e Iran potrebbe destabilizzare ulteriormente un Medio Oriente già fragile, con ripercussioni globali in termini economici e di sicurezza. In secondo luogo, la possibile utilizzazione di armi nucleari tattiche, secondo le ipotesi avanzate in alcuni ambienti strategici, porterebbe a conseguenze inimmaginabili, avvicinando il mondo a una catastrofe nucleare. La logica di Netanyahu si basa sulla convinzione che né la Russia né la Cina interverrebbero direttamente in un conflitto di tale natura, consentendo così a Israele di neutralizzare definitivamente la minaccia iraniana con l’appoggio americano.
Tuttavia questo calcolo non considera appieno le variabili in gioco. L’Iran, consapevole della pressione crescente, ha cercato di costruire alleanze con altri attori regionali e globali, rafforzando i suoi legami con potenze come la Russia e la Cina. Questi Stati, pur non desiderando un coinvolgimento diretto, potrebbero essere spinti a intervenire indirettamente, soprattutto per proteggere i loro interessi strategici e per contrastare l’espansione dell’influenza occidentale nella regione. Inoltre, la guerra in Ucraina ha già mostrato quanto possa essere pericoloso sottovalutare la determinazione della Russia a difendere i propri interessi, e lo stesso si potrebbe dire della Cina riguardo a Taiwan.
L’altro grande interrogativo riguarda gli Stati Uniti. Nonostante l’amicizia storica con Israele, l’opinione pubblica americana sembra sempre più stanca delle guerre interminabili in Medio Oriente. A ridosso delle elezioni presidenziali, un coinvolgimento in un nuovo conflitto potrebbe avere conseguenze politiche devastanti per chiunque occupi la Casa Bianca. Anche il Pentagono ha espresso preoccupazioni riguardo alla preparazione degli Stati Uniti per una guerra che coinvolgerebbe tecnologie e strategie completamente nuove, rispetto ai conflitti passati.
In conclusione, il “pari di Netanyahu” è estremamente rischioso. La sua strategia, basata sulla provocazione e sulla speranza che gli Stati Uniti rimangano al fianco di Israele a prescindere dalle conseguenze, potrebbe portare a una catastrofe di portata globale. La stabilità del Medio Oriente, già precaria, è appesa a un filo, e il rischio che il mondo intero venga trascinato in un conflitto devastante non può essere sottovalutato. In un tale scenario, la comunità internazionale deve interrogarsi su come prevenire un’escalation e su quali strumenti diplomatici possano ancora essere utilizzati per disinnescare questa bomba a orologeria.