Israele sotto tiro: quando anche il cielo non basta più

di Giuseppe Gagliano

La notte trascorsa ha segnato una nuova svolta nella guerra invisibile, ma ormai sempre più visibile, tra Israele e l’Iran. Missili, droni e parole si incrociano in una spirale di escalation che mette a nudo tutte le fragilità del sistema di difesa israeliano, mentre la tanto celebrata superiorità tecnologica del “regime sionista” comincia a mostrare incrinature. Il nemico, stavolta, è riuscito a portare l’attacco nel cuore della nazione. E Israele ha dovuto chiedere aiuto.
Israele è da sempre ossessionato dalla difesa del proprio spazio aereo. Iron Dome, Arrow, Fionda di David: un sistema stratificato, sofisticato, pensato per respingere qualunque minaccia. Ma stavolta, non è bastato. L’Operazione “Vera Promessa 3”, lanciata dall’Iran, ha dimostrato che l’effetto saturazione, cioè missili balistici, droni Houthi, vettori multipli, può aggirare anche la più costosa delle difese.
Il ministero della Difesa è stato sfiorato da più ondate, si parla della distruzione del comando delle Idf nel centro di Tel Aviv. Tel Aviv ha tremato, costringendo la popolazione nei rifugi. Almeno due morti sono stati confermati. La “Fionda di David” è stata forata. Gli F-16 israeliani hanno dovuto decollare in fretta, ma non sono riusciti a fermare tutti i droni. E allora è intervenuta la cavalleria americana.
Senza l’attivazione delle batterie Patriot, del sistema THAAD e delle difese di un cacciatorpediniere statunitense nel Mediterraneo orientale, il bilancio israeliano sarebbe stato peggiore. Gli aerei americani hanno pattugliato il cielo. Le basi USA nella regione hanno aumentato il livello di allerta. E il contingente statunitense, già passato da 30mila a 45mila uomini dopo il 7 ottobre 2023, si è mobilitato per proteggere Israele.
Nel Mar Arabico la portaerei USS Carl Vinson è pronta a spostarsi, ad affiancare i sistemi di difesa già attivi, a fungere da piattaforma di contenimento. Ma non è solo una questione militare: è una prova tangibile della dipendenza strategica di Israele dagli Stati Uniti. La sua capacità di attaccare l’Iran è reale, ma quella di difendersi da un contrattacco su vasta scala è ormai incerta senza l’ombrello americano.
Donald Trump, oggi presidente e domani probabilmente negoziatore, ha cercato di giocare su due piani. Ha dichiarato che i bombardamenti israeliani possono “riportare Teheran al tavolo del nucleare”. Una frase che somiglia più a un auspicio che a un piano d’azione. Per ora l’Iran non solo non arretra, ma alza il tiro. Il suo arsenale, come dimostrano i missili lanciati dalla Siria e dallo Yemen, è ancora pieno.
E allora la domanda si fa inevitabile: quante altre notti come questa può sopportare Israele? E quanti altri interventi americani saranno necessari per garantire la sua integrità territoriale?
Nel teatro mediorientale, dove la forza è spesso percepita come sinonimo di sopravvivenza, Israele non può permettersi di apparire vulnerabile. Eppure, oggi, proprio questa vulnerabilità è diventata evidente. La sua capacità offensiva resta intatta, ma la sua solidità difensiva comincia a vacillare. Gli attacchi iraniani non cercano solo di distruggere, ma di testare, forzare, esaurire. È una strategia d’usura, che punta a logorare il sistema difensivo israeliano, a consumarlo giorno dopo giorno.
L’Iran non colpisce solo con razzi. Colpisce con il tempo. Con l’accumulo. Con l’effetto moltiplicatore dei fronti secondari: gli Houthi dal Mar Rosso, le milizie sciite dall’Iraq, Hezbollah dal Libano. L’abbattimento di ogni missile costa decine di migliaia di dollari. Ogni drone che passa intacca la narrativa dell’invincibilità.
L’aspetto più inquietante di questa escalation però non si gioca in Medio Oriente, bensì negli Stati Uniti. Perché ogni missile intercettato da una nave americana è una decisione politica. Ogni caccia statunitense in volo sopra il deserto è una promessa di impegno che vincola Washington.
Israele ha il diritto di difendersi. Ma ha ancora la forza di farlo da sola? E gli Stati Uniti sono davvero disposti a farsi trascinare, notte dopo notte, in una guerra che potrebbe non avere fine? Perchè anche l’Iran ha diritto di difendersi.
La risposta per ora non è nelle sale di comando. È nei cieli bui sopra Tel Aviv, dove le sirene continuano a suonare e i bunker restano pieni.