Israele: Trump ha già in mano il dossier per trasferire l’ambasciata a Gerusalemme

di Guido Keller –

I primi passi di Donald Trump in politica estera sembrano essere quelli di un elefante in un negozio di cristalli, che si muove forte della propria stazza senza curarsi delle conseguenze che possono avere i suoi spostamenti.
Ed il miglior negozio di cristalli si trova da sempre in Israele, dove la nuova amministrazione intende spostare la propria ambascia da Tel Aviv a Gerusalemme, di fatto riconoscendo la città quale capitale dello stato.
Una città assai complessa, divisa da una Linea verde, tracciata nel 1967, che vede ad est i quartieri palestinesi, dove i palazzinari fanno intervenire gli amici del governo per sfrattare le famiglie arabe dalle loro case e costruire al loro posto unità abitative da vendere a caro prezzo agli israeliani. 566 le case annunciate ieri, ora che Trump e non Obama siede alla Casa Bianca.
Gerusalemme Est è stata conquistata da Israele con la Guerra dei Sei Giorni del 1967, ed è stata annessa definendola “capitale unica ed indivisibile di Israele”, ma la comunità’ internazionale non l’ha mai riconosciuta.
L’idea di spostare l’ambasciata era già presente nella campagna elettorale di Trump, una “concessione” fatta agli israeliani in cambio del voto delle potenti lobbies ebraiche attive negli Usa, ma ora sembra essere una delle priorità dell’amministrazione Trump.
Fonti della Casa Bianca dicono che il presidente ha già in mano il dossier, e il suo portavoce, Sean Spicer, ha fatto sapere che “Siamo nelle primissime fasi” della discussione.
Il nuovo ambasciatore in Israele sarà l’ebreo ortodosso David Friedman, il quale ha già manifestato la sua intenzione di andare a vivere a Gerusalemme, per quanto in dicembre , consigliere per il Medio Oriente del nuovo presidente, abbia spiegato sui media israeliani che quello di trasferire la rappresentanza diplomatica a Gerusalemme “è un tema assai complesso, che richiede un lungo processo”.
Il leader palestinese di al-Fatah, Abu Mazen, ha commentato già nei giorni scorsi che “Se questa sarà la decisione di Trump, non aiuterà la pace. Spero che ciò non accada”, mentre la protesta dei palestinesi appare al momento debole, fatta da manifestazioni a macchia di leopardo di poche centinaia di persone.
Le diplomazie del pianeta sembrano essere in silenziosa attesa, compresa Trheran, nonostante Netanyahu, che ieri ha chiamato al telefono il presidente Usa, sia tornato al mantra della ovvero la “minaccia iraniana”.