Khashoggi. “Pecunia non olet”: a Trump i sauditi piacciono così

di Enrico Oliari

Esistono paesi al mondo bombardati dagli Usa perché “le donne sono costrette a portare il burqa”. O almeno così dicevano per giustificare all’opinione pubblica occidentale l’attacco ad un Afghanistan che fino a quel momento era interessato solo ai russi. Anche a Bashar al-Assad gli Usa non hanno fatto passare nulla, mentre per l’amministrazione Trump, com’era per quelle precedenti, i sauditi restano sacri e intoccabili. E se in Iraq si andava (dicevano) “per portare la pace e la democrazia”, per i diritti civili ed umani evidentemente calpestati a Riad, per le lapidazioni, le impiccagioni e le frustate ci si gira volentieri dall’altra parte.
Così il presidente Usa Donald Trump ha scelto di svendere la dignità sua e del suo paese “perdonando” al principe ereditario saudita Mohamed bin Salman l’imperdonabile.
Il caso è quello dell’uccisione del giornalista saudita Jamal Khashoggi, il quale era entrato il 2 ottobre nel consolato saudita di Istanbul per richiedere documenti di divorzio e da lì non è più uscito in quanto ucciso da un commando di agenti segreti sauditi, 15 le persone coinvolte finora.
Khashoggi, dal 2017 esule negli Usa, era editorialista del Washington Post molto critico nei confronti del principe ereditario Mohamed bin Salman, il quale anche in passato non si è fatto scrupoli nel far arrestare principi e funzionari requisendo loro cifre per svariate centinaia di miliardi di dollari.
Non solo tutti gli indizi portano al principe ereditario come mandante dell’efferato omicidio: nei giorni scorsi la stampa Usa ha riportato le conclusioni della Cia che danno Mbs (così viene chiamato il principe) aver impartito ordini al fratello Khalid bin Salman, ambasciatore negli Usa, per consigliare a Khashoggi di recarsi al consolato di Istanbul per ritirare i documenti di divorzio, dove era stata preparata la trappola. Per la Cia, pur non essendoci prove certe che Khalid fosse a conoscenza del piano per eliminare Khashoggi, è certo che la telefonata fu sollecitata o arrivava direttamente da Mbs.
Nonostante il quadro inquietante, prima Trump ha introdotto sanzioni ridicole ed inutili verso 17 sauditi, giusto per far qualcosa, mentre oggi con la sua spocchia è stato chiaro ed irremovibile: si sarà anche trattato di un’”uccisione inaccettabile ed orribile”, ma l’Arabia Saudita “resta un grande alleato nella lotta fondamentale contro l’Iran”. Ma si è spinto oltre indicando candidamente nei contratti di vendita di armi ai sauditi per 110 miliardi e nei 450 miliardi di investimenti promessi da Riad negli Usa i motivi per cui l’affaire Khashoggi, che da oltre un mese sta scaldando l’opinione pubblica mediorientale e non solo, diventa marginale se non inesistente. Trump ha spiegato che “se stupidamente cancellassimo questi contratti, la Russia e la Cina ne beneficerebbero enormemente e sarebbero molto contente di ottenere tutti questi nuovi affari. Sarebbe un meraviglioso regalo, direttamente dagli Stati Uniti!”. Gli investimenti promessi da Mbs negli Usa rappresentano per la Casa Bianca “una cifra record, che creerà centinaia di migliaia di posti di lavoro, un incredibile sviluppo economico e ulteriore benessere per gli Stati Uniti”. Glissando sui 117 miliardi di dollari di debito Usa in mano ai sauditi, Trump poi sottolineato che l’Arabia Saudita “è il più grande produttore di petrolio al mondo. Sta lavorando con noi e ha tenuto conto delle mie richieste per tenere i prezzi del petrolio a livelli ragionevoli”.
Pecunia non olet, il denaro non puzza. E tanto meglio per le casse Usa se in Europa in più paesi a cominciare dalla Germania hanno optato per la sospensione della vendita di armi all’Arabia Saudita. Perché per Trump c’è solo “America first!”. Prima anche della dignità.

Jamal Khashoggi. (Foto Facebook).