TURCHIA. L’Economist colpisce ancora

Istambul, Avrupa, 4 dic 11 –

di Giuseppe Mancini – Negli ultimi dieci anni la Turchia ha fatto passi da gigante nel migliorare il regime di protezione dei diritti e delle libertà fondamentali: iniziando a smantellare l’odioso sistema autoritario – anti-democratico e illiberale – messo in piedi dall’establishment kemalista soprattutto dopo il colpo di stato del 1980. Questo non vuol dire che vada tutto bene, perché invece molto rimane da fare: e in concreto, l’Akp di Erdoğan ha infatti avviato un processo costituente per cambiare in modo strutturale e definitivo – in senso democratico e liberale – il sistema politico turco. Eppure l’Economist, non contento della figuraccia rimediata col suo editoriale elettorale che invitava a votare per il Chp kemalista – coi risultati che sappiamo – il 12 giugno scorso, sembra oggi voler continuare nella sua battaglia poco giornalistica e molto politica: con un nuovo tendenzioso e truffaldino articolo in cui vengono selezionati accuratamente degli episodi negativi, in cui altri episodi vengono montati ad arte. Insomma, l’Economist ha stabilito che Erdoğan è “cattivo”: e allora ogni pretesto è buono per attaccarlo a gamba tesissima, ignorando volutamente il contesto di cambiamento virtuoso e dando l’impressione che l’Akp abbia ereditato un Paradiso e lo stia trasformando in un Inferno; quando la realtà, meno caricaturale, è che l’Akp ha ereditato un sistema para-fascista da cui provengono molte delle leggi contestabili di oggi (la critica da fare è che per l’appunto non sono state ancora abolite) e sta provando – tra mille difficoltà e tra un milione di imperfezioni – a creare una società più libera e più aperta. Ma è giornalismo, questo? E perché i colleghi dell’Economist – quando muovono le loro critiche – mai si preoccupano di intervistare le autorità turche? Perché riportano un solo punto di vista, creando un indigesto mix tra critiche di ogni natura e provenienza?