La dollarizzazione del Venezuela

di Paolo Menchi

Quando si parla della situazione economica venezuelana si cita spesso la parola “iperinflazione”, con riferimento a dei tassi spaventosi, difficili anche da calcolare. Basti dire che, secondo Forbes, nel 2018 si sarebbe toccato il milione per cento, mentre negli ultimi mesi si è parlato di miglioramento con tasso al diecimila per cento, poi ridotto a fine 2020 a quasi il quattromila, ma ogni statistica è molto più spiegabile raccontando i fatti.
Passeggiando in Venezuela è facile vedere numerose banconote per terra che nessuno si degna di raccogliere, visto che si tratta in molti casi di carta straccia, le monete non esistono più e i tagli più piccoli valgono veramente zero.
Se si pensa che un dollaro viene cambiato a circa 2,4 milioni di bolivares, che in cambio di una banconota da 100 dollari dovremmo ricevere circa 238 milioni di bolivares, e che la banconota della valuta locale con il taglio più grande è di 50.000, è facile intuire che quantità esagerata di biglietti servano anche per le piccole transazioni quotidiane.
Non è pensabile che lo stato riesca a mettere in circolazione così tante banconote, o anche che una persona possa girare con uno zaino pieno di mazzette sufficienti solo per fare colazione, per questo si capisce perché in Venezuela non circoli praticamente più contante e che gran parte dei pagamenti venga effettuata elettronicamente, generalmente con applicazioni spesso non presenti da noi che si appoggiano a banche americane; e si capisce perché, pur ufficialmente non ammesso, il dollaro è diventato la moneta principale del paese.
Secondo un’inchiesta realizzata a fine marzo in dieci città, è risultato che nelle tre capitali di altrettanti stati ben il 90 % delle transazioni è stato effettuato in divisa straniera, percentuale che si abbassa fino circa il 70% se si considerano anche le città più piccole.
Ormai a Caracas, ma non solo, nei negozi, anche nelle panetterie o nei bar, viene esposto il prezzo in dollari, decisamente non economico, se si pensa ad esempio che un toast può costare 5 dollari o un caffè con pasta oltre due.
I dollari sono entrati grazie alle rimesse degli emigrati (ben 5 milioni negli ultimi anni) che mantengono le loro famiglie di origine con stipendi che in Venezuela non è possibile ottenere. La situazione è meno grave per coloro che lavorano nel settore privato, perché parte del salario viene pagato in dollari in modo non ufficiale, ma chi lavora nel settore pubblico o un pensionato riceve lo stipendio in bolivares che al cambio effettivo corrispondono in media a circa due dollari.
Le rimesse dall’estero non sono sufficienti a spiegare la quantità di moneta americana che circola nel paese, per cui si sospetta che possano provenire anche da fonti illecite.
In ogni caso anche chi avesse dollari si trova sempre in difficoltà, a meno che non abbia pezzi piccolissimi, perché anche avere una banconota di soli 10 dollari e spenderne 6 diventa difficilissimo dal momento che è quasi impossibile riceverne il resto, e il baratto è diventato ormai una forma di pagamento persino per comprare un biglietto dell’autobus, uno dei pochi settori dove, visto il basso costo, si usano ancora i bolivares.
Se non fosse per i cattivi rapporti con gli Stati Uniti si potrebbe pensare che in un prossimo futuro il Venezuela possa diventare come l’Ecuador, che da diversi anni ha rinunciato alla sua moneta nazionale in favore del Dollaro Usa, ma se non sarà ufficiale, certamente continuerà ad esserlo in maniera ufficiosa, se non riparte l’economia.
Per una nuova crescita Maduro punta ancora sul petrolio, i cui giacimenti sono i più ricchi al mondo ma non sono utilizzati al meglio, ma c’è anche un’altra risorsa che ha il Venezuela ma che non ha mai saputo sfruttare pienamente, ed è il turismo.
Il Venezuela ha un clima temperato, in media di 27/28 gradi tutto l’anno, è in una zona al riparo dagli uragani che spesso flagellano altre zone caraibiche e statunitensi, ha delle spiagge stupende e poco affollate ed altri scenari naturalistici meravigliosi. Eppure, a livello internazionale e nel turismo di massa è riuscito a far conoscere solo la fin troppo turistica Isla Margarita e l’arcipelago di Los Roques, abbastanza esclusivo e più difficile da raggiungere, ma niente più.
Ma anche se finalmente si decidesse di fare una politica per incentivare il turismo, in questo momento si scontrerebbe con la paura di andare in zone dove la povertà porta inevitabilmente a maggiore delinquenza, alle difficoltà di pagare, anche elettronicamente, perché spesso le carte di credito MasterCard, Visa, American Express e Diners, a causa del blocco americano, non vengono accettate, alle difficoltà nel reperire generi di prima necessità nei negozi e inoltre, dopo le turbolenze degli ultimi anni, esistono voli diretti per il Venezuela solo da Messico, Bolivia e Turchia, che rende ancora più complicato e costoso arrivare nel paese sudamericano.
Con gli adeguati accorgimenti il turismo potrebbe essere veramente un nuovo petrolio e anche più sostenibile a livello ecologico.