di Leonardo Altomare –
Un panorama economico mutato. Il lascito della crisi pandemica, le trasformazioni in atto e le sfide future dell’economia mondiale tra vecchi dogmi e nuove realtà.
Il futuro dell’economia globale porterà a lungo le cicatrici inferte dalla pandemia di Covid 19. Aldilà delle considerazioni generali secondo le quali si può affermare di essere dinanzi ad un “panorama economico mutato”, come dichiarato dal presidente della banca mondiale David Malpass, a causa del lockdown dell’economia mondiale, il 2020 si caratterizza per una parabola economica particolarmente unica.
L’unicità della situazione risiede in primis nella netta contrapposizione dell’andamento economico tra il secondo e il terzo trimestre dell’anno. Una forte contrazione del prodotto interno lordo (PIL) globale seguita da una decisa ripresa dovuta all’allentamento delle restrizioni del lockdown e all’introduzione di stimoli fiscali e monetari. La paralisi subita dal sistema in maniera quasi totalizzate è frutto di una decisione politica del tutto straordinaria presa in prestito dalla strategia militare.
Nel pieno della crisi pandemica i governi di tutto il mondo hanno adottato il c.d. “shock and awe” (colpisci e terrorizza) per gestire le conseguenze dell’ emergenza sanitaria. La strategia conosciuta anche come “dominio rapido”, è una tattica militare basata sull’uso di una potenza travolgente, la cognizione della superiorità sul campo di battaglia, manovre dominanti, ostentazioni spettacolari di forza al fine di paralizzare la percezione da parte dei nemici e distruggerne la voglia di combattere. Il controllo apparentemente temporaneo del contesto attraverso misure drastiche non ha di certo paralizzato questo nemico invisibile ma è stato di fondamentale importanza nel cursus della gestione pandemica. Questa strategia si è tradotto in un blocco del sistema registrando differenze significative rispetto ai tradizionali periodi di recessione economica.
Ulteriore elemento di unicità, come precedentemente affermato, risiede infatti nella natura di tale recessione. In un quadro cosiddetto “normale” di flessione dello sviluppo economico, i settori ciclici dell’economia, come quello edilizio, subiscono una contrazione, mentre il settore dei servizi reagisce meglio. Nel caso in analisi, invece, l’impatto ha investito contemporaneamente i settori produttivi ciclici e l’economia dei servizi, con conseguenti fluttuazioni estreme dell’attività economica. Il blocco evidenziato in virtù della netta contrapposizione spiega la natura della forte o meglio significativa ripresa una volta rimosse le restrizioni, con il ripristino delle catene di approvvigionamento e la riapertura di attività con le nuove limitazioni di sicurezza imposte dal COVID. I notevoli stimoli fiscali e monetari hanno fornito ulteriore sostegno.
In virtù degli aiuti tradotti in aiuto alle economie domestiche, del blocco dei licenziamenti, dell’introduzione di modalità alternative di lavoro quali lo smart-working e dell’obbligo di quarantena, sono aumentati gli acquisti dei cosiddetti beni di consumo e al contempo si è evidenziato anche un aumento del tasso di risparmio. A favorire quest’ultimo è stato il crollo del consumo nel settore dei servizi per effetto del distanziamento, la natura parsimoniosa del tessuto sociale (in particolare quello meno abbiente) associato al fattore psicologico legato alla paura e all’incertezza per il domani alla soglia della crisi pandemica in atto.
Indipendentemente dall’andamento dell’economia globale, il debito pubblico elevato rappresenta e continuerà a rappresentare una sfida. Finché i tassi d’interesse saranno prossimi o pari agli attuali valori minimi, il debito rimarrà sostenibile. Tuttavia, i governi saranno vincolati nel contrastare eventuali recessioni future e nel finanziare spese a sostegno della crescita. Di conseguenza, il debito elevato probabilmente costituirà una delle eredità più gravose del virus.
Un ulteriore aumento della spesa come risposta al regresso o all’ipotesi ancor più negativa di stagnazione dell’economia sarà probabile se continua ad aumentare il numero di ore di lavoro, a diminuire la disoccupazione e la spesa per i servizi riprenderà.
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro stima che durante il lockdown del 2° trimestre sia stato perso oltre il 15% delle ore di lavoro a livello globale, pari a oltre 500 milioni di posti di lavoro.
Le forti flessioni in termini di ore di impiego hanno avuto effetto sulla produttività. Quest’ultima, data dalla differenza tra la crescita reale del PIL e le ore lavorative effettive, registra un incremento dal momento che il numero delle ore è calato più della stessa produzione. Tuttavia, con il ritorno dei lavoratori alle loro occupazioni, questa tendenza dovrebbe in linea teorica registrare un’inversione e la produttività dovrebbe rallentare. Occorre anche tenere presente che la produttività è sempre molto volatile nel breve periodo mentre sul lungo periodo la situazione potrebbe registrare un miglioramento del tasso, almeno in alcuni settori.
Altro fattore da considerare è sicuramente l’affermarsi di nuovo modelli di business. Il lockdown ha prodotto numerose trasformazioni che, probabilmente, incentiveranno tali modelli, come la medicina online e nuovi metodi di lavoro. Sebbene queste trasformazioni comportino costi a breve termine, nel lungo periodo l’adozione di questi patterns emergenti potrebbe generare efficienza, soprattutto se aziende e governi investiranno nei settori giusti come l’infrastruttura digitale.
Va sottolineato che l’innovazione scientifica e sociale rappresentano indubbiamente le linee guida del percorso del successivo sviluppo economico. La digitalizzazione della vita quotidiana cosi come la tendenza all’adozione di contratti di lavoro più flessibili sono tutti sviluppi già in atto prima della diffusione del virus. Percorso, quello del futuro economico, che deve tener conto anche di cambiamenti di altra natura quali il rallentamento della globalizzazione, l’indebolimento del multilateralismo, il rafforzamento dello Stato e la vulnerabilità delle città, anch’essi già concreti o quasi, prima della crisi pandemica.
A livello macroeconomico va aggiunto, a quanto sopra riportato, lo stimolo fiscale derivante dai diversi fondi e⁄o programmi di intervento. Soffermandoci sul versante europeo, alla base dello status attuale gli scenari futuri ipotizzabili sono due. In uno, l’utilizzo dei fondi europei faciliterà la messa in campo di riforme, oltre ad avviare riallocazioni verso settori più innovativi, favorendo così una ripresa della produttività. Nel secondo scenario, invece, si disegna un sentiero in cui l’utilizzo dei fondi europei si traduce in uno stimolo temporaneo di domanda, non accompagnato da riforme strutturali né in grado di avviare una trasformazione produttiva verso settori con livelli di produttività più elevati.
Nonostante si evidenzi in linea di massima un recupero con differenze tra i vari mercati cosa certa è che i servizi più esposti alla pandemia rimangono in una situazione di fragilità. Diversamente da altre realtà quali Cina e USA, la zona euro sta pagando il ritardo della campagna vaccinale e questa mancanza gestionale oltre che di adattamento repentino alle esigenze in corso consente di richiamare l’attenzione sul secondo dei due scenari pocanzi descritti riconducibili all’utilizzo dei fondi europei.
Quanto alla situazione oltreoceano la dimensione dello stimolo fiscale di 2.800 miliardi di dollari impegnato nel biennio 2021-2022 dall’amministrazione americana ha portato comunque ad un repentino aumento dei tassi di interesse. Tale spinta alimenta preoccupazioni che si possano creare pressioni inflazionistiche persistenti. Anche in Europa l’inflazione è prevista in crescita rispetto al valore minimo del 2020, ma si tratta in larga parte di fattori temporanei che non destano preoccupazioni. Per quanto necessaria, in questo preciso periodo storico, l’adozione di un’economia in fase espansiva va tenuta sotto controllo onde evitare derive inflazionistiche. Una crescita troppo rapida che si traduce in un incremento dei prezzi in maggior misura rispetto ai salari e questo porta all’obbligo dei governi di rispondere con un aumento dei tassi di interesse.
Da quanto analizzato risulta imperativo agire in maniera decisa e ponderata cosi che i processi produttivi reagiscano al passo coi tempi e che le trasformazioni in seno poggino su riforme strutturali senza le quali qualsiasi stimolo fiscale o monetario che sia, si traduca in un dispendio.
Se la pandemia ci ha insegnato qualcosa è sicuramente la necessità e la capacità di agire su un fronte comune e quindi l’economia ora più che mai ha bisogno di uno sguardo d’insieme che veda non solo agli interessi nazionali ma anche di raggio più ampio. Per quanto i dati della c.d. ripresa risultano essere incoraggianti in un contesto non totalmente post-pandemia le previsioni sono destinate a essere smentite. Onde evitare che il lascito del virus sia un inasprimento della recessione tra i Nord e il Sud del mondo e ancor peggio tra le economie tra paesi avanzati e paesi emergenti “la comunità globale deve unirsi per costruire una ripresa quanto più solida possibile, ed impedire a più persone di cadere nella povertà” come affermato da Ceyla Pazarbasioglu, Direttrice del Strategy, Policy, and Review Department del FMI.