La Nato e l’Ue alla ricerca di nuovi mondi

Incontro a Roma per riscoprire i valori della Nato e del Consiglio d'Europa. Denunciando insuccessi e contraddizioni.

di Cesare Scotoni

Interessante e partecipata iniziativa oggi a Roma, organizzata dal Parlamento italiano e dai rispettivi capi delegazione presso il Consiglio d’Europa e presso l’Assemblea parlamentare della Nato per ricordare quel doppio anniversario che ricorda i 75 anni dalla Costituzione del Consiglio d’Europa e della stessa Alleanza Atlantica. Sorprendente per qualità e quantità dei relatori in rappresentanza di tutti quei Parlamenti e a cui si sono aggiunti i rappresentanti delle assemblee parlamentari di Ucraina e Georgia. Il Convegno, voluto dalle due delegazioni italiane e presieduto da Elisabetta Gardini e Lorenzo Cesa nei rispettivi ruoli, ha visto tra gli altri gli interventi del presidente della Camera Lorenzo Fontana, del ministro della Difesa Guido Crosetto e di Francesco Bonini, rettore dell’Università LUMSA. Nonché i saluti del presidente dell’Assemblea del Consiglio d’Europa e del vice presidente dell’Assemblea parlamentare della Nato e le conclusioni delle rispettive segretarie generali delle due assemblee. Dando spazio ad un ampio dibattito, sorprendente in certi punti per franchezza. Al di là di un esplicito riferimento di Lorenzo Cesa allo “spirito di Pratica di Mare” e all’occasione perduta di un diverso rapporto con la Russia, del richiamo esplicito del ministro Crosetto all’indifferibile necessità di ridare un ruolo alle Nazioni Unite per ricostruire lo spazio di un dialogo e alla sottolineatura tutta italiana del fatto che l’esercito europeo, di cui tanti discutono fin dalla proposta franco tedesca bocciata da Mario Draghi solo nel 2021, è una realtà che c’è già e che è nelle forze dell’Alleanza Atlantica, l’elemento più interessante della giornata si ritrova nel dibattito sulle radici e le ragioni delle due scelte di 75 anni fa. E ha offerto, anche grazie alla fortunata scelta dei tempi in funzione delle presidenziali d’oltreoceano, ben più di uno spunto sulla crisi che oggi la Nato incontra nel ridefinire il proprio ruolo.
L’Europa era uscita distrutta dalla seconda guerra in meno di 25 anni e senza eserciti in grado di proteggerla, mentre l’Unione Sovietica ne occupava una parte e l’altra era controllata da Regno Unito e Stati Uniti. L’idea che democrazia, pace e sicurezza potessero essere i pilastri di una ricostruzione fisica e valoriale di un’entità ed un’identità che si riferissero una volta di più all’universalismo cristiano aveva giustificato il coincidente costituirsi di un’alleanza difensiva che obbligasse ciascun alleato ad intervenire in favore dell’altro in caso di una aggressione militare, uno strumento rappresentativo in grado di definire in modo condiviso il quadro di diritti da tutelare e i modi delle democrazie perché fossero espressione di una volontà popolare. L’Italia inoltre con Alcide De Gasperi aveva deliberatamente rinunciato a una parte della propria sovranità e con l’articolo 11 della Costituzione aveva scelto il perseguimento della Pace come un fine stesso della Repubblica. Per cui un progetto che voleva fin da subito contrapporre la scelta della Democrazia ai totalitarismi, come quello rappresentato dal Marxismo Leninismo, che aveva intanto conquistato mezza Europa dopo la sconfitta dei totalitarismi nazifascisti. Un progetto vincente almeno fino al 24 marzo 1999, quando la Nato bombardò di sua iniziativa Belgrado senza nemmeno attendere una qualsiasi iniziativa dell’Onu.
Il dibattito di Roma si è svolto ricco, vivace e interessante con la voce accorata di Cipro, oggi in parte occupata da una Turchia che è un partner importante dell’alleanza e che del conflitto siriano è stata un protagonista, così come è stata ed è antagonista degli Usa a fianco dell’Autorità Palestinese, con l’eco del linguaggio bellicista degli appelli ucraini ed anche georgiani ai paesi europei dell’Alleanza atlantica affinché si espongano di più nel protrarre il conflitto nel caso Trump voglia invece cercare un compromesso con i “barbari”.
Soprattutto si è compreso come sia stato un vulnus ferale alle ragioni stesse, che 75 anni fa permisero a ben 12 Paesi la costruzione di quella doppia architettura di Difesa e di Sviluppo, sostenere che un Paese in cui l’opposizione parlamentare viene messa fuori legge, i parlamentari che non si adeguano vengono privati di passaporto e cittadinanza e le elezioni non si tengono, possa avere quelle caratteristiche democratiche che il Consiglio d’Europa dovrebbe sancire, come pure accettare che Francia e Germania, garanti di quelli accordi di Minsk II del 2015, che furono approvati all’unanimità dall’ONU, possano poi rivendicare di aver solo “voluto guadagnare tempo” nel momento in cui 16mila civili del Donbass autonomista venivano uccisi in 7 anni dalle truppe di Kiev, sotto gli occhi dei giornalisti occidentali. Come pure fingere per mesi che l’esplosione del Nord Stream 1 e 2 non sia stato un atto di guerra alla Germania e all’Unione Europea. Comportandosi magari di conseguenza.
Di fronte a tanta gioventù intervenuta all’incontro si è colta la terribile distanza tra le grandi ambizioni, i bei principi ispiratori e le tante ragioni di opportunità e importanza di ritornare quanto prima a un’iniziativa europea che riporti il progetto di 75 anni fa nel solco abbandonato il 24 marzo 1999. Con la volontà di costruire la pace. E forse per farlo vi è bisogno che la Nato ed il Consiglio d’Europa riscoprano le ragioni del proprio essere, senza attendere che sia Washington a ricordare a tutti i rispettivi interessi globali e l’importanza per ciascuno di tutelarli. Risolvendo quelle contraddizioni che hanno visto un susseguirsi di delusioni in Kosovo, Afganistan, Georgia, Siria, Libia e Ucraina. E si è compreso che le voci dei parlamenti democraticamente eletti possono essere una chiave per dare nuova energia a un progetto che arranca fin dai tempi di Pratica di Mare.