La strategia geopolitica Usa (e europea) va rivista

di Dario Rivolta * –

Chi segue i dibattiti sulla politica internazionale non è mai rimasto stupito nel leggere i commenti pesanti di Noam Chomsky (uno stimato linguista) sulla politica americana verso l’Ucraina e la Russia. Chomsky, noto terzomondista, critica da sempre le politiche americane verso il resto del mondo e, pur giudicando l’invasione russa dell’Ucraina un grave crimine di guerra al pari dell’invasione statunitense dell’Iraq e di quella di Hitler-Stalin della Polonia nel settembre del 1939, accusa gli Stati Uniti e l’Europa di aver creato loro le condizioni per ciò che è successo. Lo hanno fatto con la loro stolida volontà di “circondare la Russia” e usando come strumento l’allargamento della NATO. Se le parole di Chomsky sono in qualche modo prevedibili (vedi il suo “Perché l’Ucraina”, Ponte alle Grazie 2022), sorprende che più o meno le stesse critiche provengano da un docente universitario solitamente molto pacato come Jeffrey David Sachs. Costui, oltre che titolare di una cattedra alla Columbia University, è presidente del Network per le Soluzioni allo Sviluppo Sostenibile presso l’ONU, è stato Consigliere per il segretario generale Antonio Guterres e per il suo predecessore Ban Ki-Moon, e ha servito come consulente di Kofi Annan per il Millenium Development Goals nella lotta ONU contro la povertà nel mondo. È un economista stimato internazionalmente, nonostante le sue “ricette” abbiano suscitato molte critiche, ed è autore di numerosi libri. Da liberale-liberista fu coinvolto con il Fondo Monetario internazionale nel tentativo di risanamento delle economie di Bolivia (1985), Polonia (dal 1989) e Russia. Le sue ricette economiche estreme applicate dal FMI in Jugoslavia portarono alla chiusura di ben 2435 società di quel Paese e causato la disoccupazione di un milione e 300mila lavoratori verso la fine del 1990. Il prodotto nazionale lordo dello Stato balcanico crollò del 7,5 % nel 1990 e del 15% nel ’91. Niente a che vedere dunque con un anti-americanista o un filo-putinista.
Da un intellettuale come lui, totalmente organico ai dettami economici ispirati dal liberismo americano ci si sarebbe aspettato o il silenzio o, magari, una condivisione delle attuali azioni americane ed europee verso la Russia e a favore di Kiev. Al contrario il 27 giugno scorso ha scritto un articolo molto netto di condanna di quelle politiche con il titolo “L’Ucraina è l’ultimo disastro dei Neocon”. Nel corso dell’articolo si rivela particolarmente duro: “La guerra in Ucraina è il culmine di un progetto trentennale del movimento dei Neoconservatori americani. L’amministrazione Biden è piena di quegli stessi Neocon che hanno portato gli USA nelle guerre in Serbia (1999), in Afghanistan (2001), in Iraq (2003), In Siria (2011) e in Libia (2011) e che hanno fatto così tanto per provocare l’invasione russa dell’Ucraina”. In una intervista del 13 maggio aveva già affermato che “Ciò che ci viene detto dai nostri media è pura propaganda, non è la verità… A suo tempo a Gorbaciov fu promesso che la NATO non si sarebbe espansa verso est… Noi abbiamo mentito. Mi spiace doverlo dire così, ma li abbiamo presi in giro”. Ha poi continuato: “L’idea che ci sia una sola potenza a cavalcioni sul mondo, specialmente un Paese con il 4,4 percento della popolazione mondiale che presuma di guidare il mondo intero è molto ingenua e, dal mio punto di vista, molto pericolosa. (abbiamo, ndr.) basi in settanta Paesi del mondo con più di settecento installazioni… Noi siamo un pericolo per noi stessi grazie alla nostra idea di “eccezionalismo” oggi così anacronistica…”.
Alla fine del suo articolo sopra citato conclude:” Se l’Europa avesse una minima capacità di comprensione, si dissocerebbe da questi fallimenti della politica estera americana”.
Colpisce quest’ ultima osservazione e obbligherebbe ogni europeo sinceramente preoccupato per il futuro del continente a riflettere. Infatti, è’ sotto gli occhi di tutti che gli USA, da anni, accumulano sconfitte sopra sconfitte in varie parti del mondo e che, ove sono intervenuti e di là dalle dichiarate buone intenzioni, anziché la pace hanno portato destabilizzazione e innumerevoli morti tra le popolazioni locali. Nessuno può dimenticare che, ci piacciano o non ci piacciano, gli americani sono parte della nostra cultura e della nostra storia, così come è incontestabile che il nostro appartenere al mondo occidentale (e alla NATO in particolare) ci ha garantito decenni di sicurezza (francamente anche a buon prezzo) permettendoci di non cadere vittime di un sistema totalitario come fu quello comunista. Anche oggi immaginare di fare a meno della NATO è assolutamente improponibile perché è evidente che l’Europa, divisa com’è attualmente, non è in grado nemmeno di provvedere alla propria difesa.
Tuttavia, mentre non possiamo certo rimproverare gli americani di voler perseguire soltanto il loro interessi solo perché noi non siamo ancora capaci di definire i nostri e metterli sul tavolo di eventuali discussioni con loro, essere alleati fedeli non significa che dobbiamo sottostare ad ogni loro decisione. Soprattutto se evidentemente lesiva del nostro futuro e perfino del loro. Tra l’altro, l’enorme sproporzione tra i danni economici e sociali che questo conflitto (e relative sanzioni) sta arrecando agli Stati europei rispetto a quelli irrilevanti per gli alleati d’oltreoceano pone perlomeno qualche dubbio sui reali obiettivi della guerra in corso. Se consideriamo i risultati ottenuti, con franchezza dobbiamo ammettere che la politica internazionale degli USA negli ultimi anni è veramente fallimentare, come dice correttamente anche Sachs. Di là da alcuni successi di cui vedremo solo in futuro conseguenze e tenuta (vedi l’accordo Abraham), nessuna delle crisi mondiali di cui si sono occupati ha avuto esiti positivi a medio e lungo termine. Chiunque osservi le cose con animo disincantato vede che le popolazioni arabe (non necessariamente i loro regimi) sono sempre più ostili al “modello americano”, la Cina dilaga in tutti i continenti, la Russia è definitivamente nell’orbita cinese e nutre il suo sviluppo economico, le tensioni stanno crescendo ovunque e alimentano i timori di nuove e tremende deflagrazioni. Quanto al “fronte delle democrazie” siamo alla burla: abbandoniamo i rapporti con la Russia perché autarchica ma compriamo gas dal Qatar e dall’Algeria (Draghi dice perfino che la Turchia è una “dittatura”, ma “dobbiamo comunque collaborare con essa”). Siamo nella NATO con la Turchia, che di certo non sa più cosa sia la democrazia liberale e democrazie come l’India o il Brasile si sono dissociate dalle nostre posizioni contro la Russia e privilegiano i loro interessi economici in barba alla presunta contrapposizione tra “democrazie” e “autoritarismi”. La Libia è diventata un non-Stato, la Somalia idem, abbiamo destabilizzato la Siria e ottenuto che l’Egitto sia diventato meno “tollerante” che nei tempi di Mubarak. I Paesi che potremmo considerare “nemici” o almeno “concorrenti” stanno facendo fronte unico tra di loro e stanno brigando per distruggere anche la dominanza del dollaro nei commerci internazionali.
Noi non possiamo, né dobbiamo, rinunciare agli Stati Uniti, ma forse anche loro dovrebbero riflettere meglio sui loro obiettivi. Fino a che resteremo alleati, cosa che mi auguro possa durare molto a lungo, l’egemonia americana nel mondo fa comodo anche a noi. Se però sono loro stessi a farsi del male e distruggono per supponenza e stolidità le posizioni acquisite nel passato, non stanno mettendo a rischio solo la loro supremazia ma anche i benefici che a noi sono derivati “a cascata”.
Purtroppo, oltre a una dirigenza politica di bassissimo livello a Bruxelles (vedi von Der Leyen e Borrell), tutti i leader europei del momento sono politicanti di scarsa levatura e personalità (a parte Macron) e dimostrano di essere servi sciocchi invece che tutori degli interessi dei popoli europei. Quanti anni ci vorranno ancora per avere una nuova classe dirigente, sia in Europa sia negli USA, che sappia guardare alla politica internazionale con un po’ di saggezza e lungimiranza?

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.