La tecnologia cinese come strumento di sorveglianza e repressione

I paesi dell'America Latina istallano telecamere cinesi e app per contrastare il crimine ma anche per controllare la popolazione.

di Giuseppe Gagliano

Grazie ad un’indagine giornalistica congiunta fatta dal periodico inglese The Guardian,dalla Süddeutsche Zeitung,dal New York Times,dalla Ruhr-University di Bochum e della società tedesca di sicurezza informatica Cure5,sembra accertato che la polizia di frontiera cinese stia segretamente installando app di sorveglianza sui telefoni dei visitatori e scaricando informazioni personali come parte del controllo intenso del governo sulla remota regione dello Xinjiang. Da questa indagine congiunta è emerso che da un lato il governo cinese, allo scopo di controllare in modo capillare la popolazione musulmana locale, sta installando telecamere di riconoscimento facciale su strade e moschee costringendo i residenti a scaricare software sui loro telefoni che possono facilitare il controllo da parte del governo cinese, dall’altro lato che le guardie di frontiera prendono i telefoni dei turisti nazionali e stranieri e installano segretamente un’app che estrae e-mail, testi e contatti personali. Questa app, progettata soprattutto ma non solo per Android, permette di individuare parole chiave utili per facilitare non solo la prevenzione di azioni terroristiche, ma anche per controllare gli oppositori in senso ampio al governo cinese. Fra le parole chiave che l’app è in grado di individuare vi sono quelle di al-Qaeda, Dalai Lama, integralismo musulmano, terrorismo e persino un gruppo musicale giapponese chiamato Unholy Grave. Concretamente questa operazione di sorveglianza avviene nel momento stesso in cui i turisti devono consegnare alle guardie di confine i loro telefonini o qualunque altro dispositivo. Una volta consegnati i dispositivi questi vengono portati in stanze predisposte e restituiti in un secondo momento. Uso da parte della Cina di questi strumenti di sorveglianza non deve destare alcuna sorpresa sul piano della politica internazionale. Infatti nel febbraio del 2019 l’Uruguay ha iniziato a installare la prima di 2.100 telecamere di sorveglianza, donate dalla Repubblica Popolare Cinese per migliorare il controllo dei suoi confini con la vicina Argentina e con il Brasile. Questa iniziativa si inserisce nel contesto un partenariato strategico iniziato nell’ottobre 2016 e ufficializzato con la firma di un memorandum d’intesa nell’agosto del 2018.
L’intesa pone in luce una dimensione poco discussa ma importante della proiezione di potenza della Cina e cioè la sua esportazione di tecnologie di sorveglianza e controllo. Infatti l’installazione di sistemi di sorveglianza cinesi, acquisita attraverso donazioni governative della RPC o tramite contratti commerciali, è un fenomeno in crescita in America Latina. Tali sistemi hanno cominciato ad apparire nella regione più di un decennio fa, e cioè nel 2007, quando l’allora sindaco di Città del Messico (ora ministro degli Esteri messicano) Miguel Ebrard è tornato da un viaggio a Pechino con un accordo per installare migliaia di telecamere cinesi per combattere il crimine nella capitale messicana. Esempi più recenti includono dispositivi denominati ECU-911 esportati in Ecuador, sistemi che hanno come finalità quella di realizzare un sistema nazionale di sorveglianza e comunicazione che viene naturalmente costruito in Cina. Questo sistema di sorveglianza include attualmente 4.300 telecamere e un centro di comando presidiato da migliaia di ecuadoriani, ed è stato costruito quasi completamente da apparecchiature cinesi.
La Bolivia ha un simile sistema costruito in Cina, anche se di portata più limitata, chiamato BOL-110 e caratterizzato da un centinaio di telecamere di sorveglianza donate dalla RPC presenti in quattro delle principali città del paese. A Panama nel 2017 il governo di Juan Carlos Varela ha acconsentito a Huawei di installare un sistema di telecamere nella città di Colon e nella zona di libero scambio associata. Non a caso nel luglio 2019 Hikivision, il maggiore produttore cinese di telecamere di sorveglianza, ha annunciato l’intenzione di creare un importante centro di distribuzione a Colon per supportare le vendite dei suoi prodotti in tutte le Americhe. Nel nord dell’Argentina, in prossimità di una zona in cui i cinesi stanno estraendo il litio, la società cinese ZTE sta installando un altro sistema di risposta alle emergenze con 1.200 telecamere. In Venezuela, sebbene non si tratti in senso stretto di un sistema di sorveglianza, la compagnia cinese ZTE ha aiutato il regime di Maduro a implementare una “carta di identità della patria” che collega diversi tipi di dati alle persone attraverso questo documento elettronico che consente allo stato di attuare un ampio controllo sociale. Questa politica economica non deve sorprendere poiché la Cina intende promuovere e sostenere l’esportazione globale dei sistemi riconosciuti come strategici per la nazione cinese.
Come per tutti i sistemi di sorveglianza anche per quelli cinesi i rischi sono molteplici e significativi, tra cui la sensibilità dei dati raccolti su persone e attività specifiche, in particolare se elaborati attraverso tecnologie come il riconoscimento facciale, integrati con altri dati e analizzati attraverso l’intelligenza artificiale (AI); la possibilità di ottenere surrettiziamente l’accesso a tali dati non solo attraverso i dispositivi di raccolta, ma in qualsiasi punto; infine la possibilità che a lungo termine tali sistemi possano contribuire a ridimensionare l’influenza americana sia dal punto di vista politico che economico. Infatti le tecnologie di riconoscimento facciale e la possibilità di integrare i dati di diversi sensori incrociandoli con altre fonti come gli smartphone consentono a coloro che hanno accesso a questa tecnologia di seguire il movimento di persone e di flussi commerciali.