La terza guerra mondiale di papa Francesco

Da “guerra a pezzi” a “guerra totale”.

di Gianluca Vivacqua

Nel 2014 il Papa disse che il mondo stava vivendo, da anni, una terza guerra mondiale a pezzi. Pensava a tutti i conflitti in corso nel globo in quel momento e li sommava, ma mantenendoli distinti. Prendeva in considerazione, quindi, l’universitas bellorum, come coloro che si divertono a snocciolare il numero esatto delle guerre che animano lo scenario geopolitico attuale e a relativizzare l’importanza e la gravità del conflitto russo-ucraino: a che serve, essi dicono, preoccuparsi dell’evoluzione di una guerra soltanto perché è un po’ più vicina a noi quando, oggi come oggi e con le tecnologie belliche di oggi, una qualsiasi altra guerra in una qualsiasi altra parte del mondo può avere le stesse conseguenze catastrofiche di una che si combatte quasi sotto casa?
Naturalmente non si può pensare che Francesco volesse relativizzare ma di sicuro aveva ben in mente quello che può essere il valore di un evento storico come una guerra in un mondo globale e globalizzato. La prima caratteristica della globalizzazione è infatti l’estrema geo-interconnessione, sicché non si può più negare (non si può più far finta di farlo) che un evento che accade a Tuvalu o in Lesotho abbia un qualche significato per il resto della comunità internazionale. La globalizzazione, intesa come universalizzazione della coscienza storica del presente, ripudia la sindrome saguntina, per cui ciò che accade lontano o al di fuori del nostro focus è oggetto di (rischiosa) sottovalutazione.
L’interconnessione è, quindi, una condizione a priori della globalizzazione. Ma quest’ultima lascia pure uno spazio alla riflessione per casi separati: Francesco infatti pensava ai confitti cronicizzati (Yemen, Siria, Afghanistan, Iraq, Libia, Kashmir), a quelli latenti (il Donbass, lo era ancora all’epoca) e a quelli intermittenti (Nagorno-Karabakh, Ossezia). Tutte parti di un unico grande corpo che è il mondo in guerra, ma ognuno ancora analizzabile a partire da una precisa fisionomia storico-territoriale.
Accanto alla percezione globalistica della storia bellica del mondo attuale nella riflessione del pontefice sembra affacciarsene anche una sintomatologica.
Figlio della Seconda guerra mondiale e nipote della prima, il Papa ragiona forse in base a una coscienza storica che gli dice di valutare gli eventi bellici, anche oggettivamente slegati tra loro, nella misura in cui potrebbero essere prodromi di un evento bellico di proporzioni maggiori. La “guerra a pezzi” è quindi a un tempo una constatazione, una fotografia storica, e anche l’espressione di un timore che è a sua volta espressione della sensibilità storica di colui che agnoscit veteris vestigia flammae.
Dobbiamo credere che con il suo intervento dello scorso 10 settembre egli abbia voluto ammettere che quel timore si è avverato? In effetti, quasi ravvedendosi, Francesco ha detto che la guerra mondiale, da “guerra a pezzi”, è diventata “guerra totale”. Ma non ha rinnegato una visione per un’altra. Vediamo perché.
Alle angosce precedenti si aggiunge ora l’incubo del deja vu, che chiaramente si affaccia sin dalle parole d’esordio (e rimanda a quanto abbiamo detto prima): “Dopo le due tragiche guerre mondiali sembrava che il mondo avesse imparato a incamminarsi progressivamente verso il rispetto dei diritti umani, del diritto internazionale, di varie forme di cooperazione”.
E invece si nota una “regressione”, un ritorno a orrori e brutalità già viste.
“Anacronismo” è la parola chiave di questo discorso. Qualcosa di disturbante, di distonico che riemerge dal passato, un mostro esiliato dalla storia che torna a materializzarsi alle porte della città sempre con le stesse spudorate sembianze. “Anacronismo” si abbina a “nazionalismo”. Anacronistiche sono le guerre – le nuove/vecchie guerre di dominio – combattute in nome di nazionalismi “chiusi, esasperati, aggressivi”. Ma per capire in che senso il pontefice parla di “totale” bisogna tornare al “rispetto dei diritti umani”. In effetti passando dalla guerra a pezzi alla guerra totale si allarga anche il focus della sua valutazione: non soltanto riflessione prospettica sulle sorti geopolitiche, ma – anche e soprattutto – riflessione angustiata su quelle del genere umano.
Perché per “guerra totale” in realtà Francesco intende quella guerra che coinvolge, e colpisce, la totalità di una popolazione, e non risparmia nessuno: “civili, anziani, bambini e malati”.
Proprio dalla Seconda guerra mondiale in poi senza dubbio ogni guerra è diventata totale in questo senso: e dunque, quando accoppia al concetto di “guerra totale” quello di “guerra mondiale”, che formula cerca di definire il Papa?
Egli in realtà tiene insieme una preoccupazione ecumenica per un mondo in fiamme (come poteva essere quello alla vigilia di una Prima o Seconda guerra mondiale) e una preoccupazione panantropica per un’umanità a un passo da una tragedia che promette di essere a un tempo l’ennesima della storia ma anche quella definitiva.
Per lui la guerra è mondiale perché si combatte, in contemporanea, in più parti del mondo (e avvenire simultaneamente non significa per forza avvenire congiuntamente), ed è totale perché non fa distinzione tra combattenti e non combattenti.