La Trumpeconomics: realizzabili le promesse elettorali?

di Francesco Cirillo

Trump donald pollicePorterà milioni di nuovi posti di lavoro, l’elezione di Donald Trump? E’ ancora preso per dirlo, anche perché il “Tycoon” non ha spiegato dettagliatamente il suo piano economico ma ha affermato che per fare di nuovo grande l’America, la vuole ricostruire, ex novo, anche con un enorme piano di opere pubbliche infrastrutturali come strade, ponti, scuole, ferrovie ed aeroporti.
Sul fronte di Wall Street, da cui ha sempre affermato di esserne fuori, vuole liberare la finanza dalla regolamentazione finanziaria attuata dall’amministrazione Obama; si è inoltre ripromesso di attuare una diminuzione delle tasse nei confronti delle aziende e delle famiglie. Si tratta, a ben guardare, di piccoli e confusi dettagli, che tuttavia hanno ricevuto la fiducia dei mercati di Wall Street, i quali hanno registrato un rialzo record dopo i primi scossoni.
Il piano per le opere pubbliche è di mille miliardi, denaro che dovrebbe arrivare dai finanziamenti pubblici federali e dal privato: dovrebbe essere sostenuto dalla crescita annuale del Pil al 4%, a sua volta spinta dalle politiche business friendly e se fosse necessario da emissioni dedicate di Bond, misura quest’ultima considerata eterodossa dai repubblicani.
Sul fronte fiscale il piano economico di Trump rappresenta una vera e propria rivoluzione con una drastica riduzione delle aliquote delle persone fisiche da sette a solamente tre. Il nuovo presidente ha intenzione di portare le tasse dal 39,6 percento al 25 percento, le imposte sulle aziende dal 35 percento al 15 per cento e infine abolire la tassa sulla successione. Vorrebbe anche applicare, una tantum, una tassa del 10 per cento sul rimpatrio dei redditi.
Diversi critici tuttavia segnalano che queste manovre sulla riduzione delle entrate dell’erario combinate con le enormi spese pubbliche farebbero esplodere il deficit, ma secondo il magnate newyorkese vi sarebbe la compensazione attraverso lo stimolo della crescita.
Usa borsa grandeLa deregulation economica è per Trump il principale cavallo. Il presidente è disposto ad abolire la riforma finanziaria introdotta nel 2008 Dodd-Frank, da lui definita eccessiva, affermando che attualmente “sono i regolatori che oggi guidano le banche”. Nonostante le affermazioni, Trump non vede la cosa come la sua principale missione presidenziale. Nel mirino dell’amministrazione Trump ci sono il 70 per cento delle normative federali, principalmente quelle ambientali. Sul fronte legislativo Trump ha promesso di cancellare, solo in parte,la riforma sanitaria di Barack Obama per sostituirla con un piano che si basa sul libero mercato che incoraggi la concorrenza tra le assicurazioni sanitarie.
Tuttavia anche qui Donald Trump non ha rivelato come fare precisamente e, secondo diversi analisti, attuerà all’inizio solo piccole modifiche.
Sul commercio internazionale ha dichiarato di voler rinegoziare gli attuali trattati internazionali di libero scambio come il NAFTA e il TPP e il TTIP, definendoli negativi per l’economia americana poiché hanno causato la delocalizzazione delle industrie statunitensi all’estero licenziando milioni di lavoratori.
Ha poi minacciato una guerra commerciale alla Cina e al Messico. Nei confronti della Cina vuole applicare dazi al 45 percento sulle importazioni e nei confronti del Messico le tariffe saranno al 35 percento.
Altra colonna del programma di Trump è quella di applicare una norma per sanzionare le industrie americane che hanno de localizzato o che delocalizzano. Se per applicare dazi permanenti avrebbe bisogno dell’approvazione del Congresso, avrebbe mano libera per tutelare quei settori industriali minacciati dai comportamenti scorretti dei paesi stranieri, come fece George.W.Bush per difendere il comparto dell’acciaio statunitense.
Le parole forti contro la Cina e il Messico, dette in campagna elettorale, potrebbero essere superate da un atteggiamento più diplomatico, poiché innescherebbero una guerra commerciale.