Le carovane dei migranti del Centroamerica

di Paolo Menchi

Negli ultimi tempi si è spesso sentito parlare delle carovane dei migranti che dall’America Centrale percorrono migliaia di chilometri a piedi sperando di raggiungere gli Stati Uniti, visti come una sorta di terra promessa.
Ma che situazioni lasciano nei paesi di provenienza queste persone per rischiare la vita portandosi dietro anche bambini di pochi mesi in questi lunghi viaggi?
Queste migrazioni di massa il più delle volte nascono dall’iniziativa di pochi che pubblicizzano la loro scelta di partire sui social network e così, nel corso del cammino, si aggiungono sempre più persone che, se da un lato si espongono a meno rischi rispetto alle iniziative individuali destinate a fallire tragicamente, visto anche il livello di delinquenza che affligge questi paesi, dall’altro lato , quando le fila si ingrossano, diventano particolarmente visibili e i paesi di transito sono costretti a prendere provvedimenti spinti anche dagli Usa, soprattutto dopo la stretta sull’immigrazione attuata dall’amministrazione Trump.
Vengono così istituiti posti di blocco che i migranti cercano di forzare scatenando atti di violenza.
Ma la violenza è una continua minaccia durante tutto il percorso a causa delle bande di delinquenti che cercano di rapinarli delle poche cose che hanno messo da parte per il viaggio.
Una delle stazioni di partenza è l’Honduras, una nazione di nove milioni di abitanti, estesa circa un terzo dell’Italia con un territorio montuoso per l’ottanta per cento, uno dei paesi più violenti al mondo, con un altissimo tasso di omicidi e dove transita gran parte della cocaina che viene esportata dal Sudamerica in Usa e in Europa e dove le gang criminali spadroneggiano.
La percentuale della popolazione che vive in povertà è del 64% mentre a livello politico il governo è da sempre sotto il controllo degli Stati Uniti e dove la situazione si è inasprita dopo il golpe del 2009, cui sono seguite elezioni poco limpide, sempre vinte dalla destra, scatenando spesso sanguinose proteste dell’opposizione a causa di brogli fin troppo evidenti.
Molti migranti provengono da El Salvador, lo stato più piccolo ma a maggiore densità abitativa del Centroamerica, che ha una popolazione di circa nove milioni di abitanti, che per il 32% vive sotto la linea di povertà e dove i gruppi criminali, ai quali si calcola sia affiliato circa il 9% della popolazione, dettano legge ed ogni attività commerciale deve sottostare al loro pizzo.
A livello politico non si è ancora superata la contrapposizione nata negli anni Settanta quando salgono al potere i militari che provocano la nascita di gruppi di guerriglieri.
Dagli anni Ottanta iniziano le trattative per pacificare il paese sconvolto dalla violenza politica ma la pace viene firmata solo nel 1992 e alle prime elezioni vince il partito di destra Arena che ha continuato a governare per molto tempo fino alla vittoria nel 2009 della formazione di sinistra degli ex guerriglieri del FMLN, Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale, che ha guidato il paese fino al 2019.
Oggi il presidente è Nayib Bukele, un indipendente ex FMLN che, nel febbraio 2020, ha scandalizzato il mondo facendo circondare il parlamento dall’esercito per spingere i deputati ad approvare un prestito ottenuto dal fondo monetario.
Il Guatemala rappresenta l’ultimo ostacolo all’arrivo in Messico delle carovane ma è anche una base di partenza per molte persone che vanno ad ingrossare le fila dei disperati in cerca di un approdo finale negli Stati Uniti.
Con una popolazione di circa 17,5 milioni di abitanti ed esteso per più di un terzo dell’Italia rappresenta il paese centroamericano più grande e tra i più giovani (il 41% ha meno di 15 anni) con una percentuale del 59% della popolazione sotto la soglia di povertà, soprattutto tra gli indigeni che rappresentano più di metà degli abitanti.
Si calcola che il 20% della popolazione possieda la metà della ricchezza nazionale ed in modo particolare le terre sono di proprietà di poche grandi famiglie.
Il Guatemala è diventato anche un grande centro di smistamento nel traffico di droga e di esseri umani per lo sfruttamento sessuale.
Dal Gennaio dello scorso anno il presidente del Guatemala è Alejandro Giammattei che ha vinto le elezioni del luglio 2019 con una coalizione di centro destra già al centro di polemiche e scontri, che lo scorso mese di novembre hanno portato ad attacchi al parlamento da parte dei manifestanti, dopo l’approvazione della legge di bilancio, accusata di prevedere tagli all’istruzione e alla sanità, dando priorità a progetti che favorirebbero aziende vicine al governo piuttosto che destinare risorse per gestire l’emergenza sanitaria e la lotta alla fame e che prevede un ulteriore pesante indebitamento con il FMI.
Ma anche i precedenti governi non si erano distinti se non per corruzione e scarsa attenzione ai problemi degli strati più poveri della popolazione.
Dopo l’effetto negativo della pandemia, per il 2021 per tutti e tre i paesi citati sono previsti tassi di crescita del 3-4 % confermando una tendenza già in atto da alcuni anni ma ci si chiede quanto sia importante definire la crescita economica di un paese osservando il tasso di crescita del prodotto interno lordo quando poi la cattiva distribuzione del reddito va ad impoverire ancora di più le classi meno abbienti che soffrono anche per un debito pubblico sempre più elevato che conseguentemente porta ad un taglio dei servizi essenziali come salute ed istruzione.