Le nuove regole per la governance globale

di Giovanni Caprara –

terra in maniIl diritto internazionale regola la pari ordinazione degli Stati e della Comunità nel suo organo principale: le Nazioni Unite. Questi è fondato sul principio dell’uguaglianza fra gli Stati, ma alcuni Paesi sono assorti ad attori principali trainati dalla capacità politica, economica e militare, ledendo in parte la costituzione stessa dell’ONU. Quest’ultimo, dunque, potrebbe essere identificato come un centro di potere intergovernativo, dove la mancata formazione di un esercito o di una forza di polizia ne circostanzierebbero una prova. Difatti, per dirimere le controversie internazionali, vengono delegate una o più Nazioni per volta. L’attuale architettura della governance politica ed economica mondiale manca in parte della completa autorevolezza delle Nazioni Unite, che ha nel G-20 il naturale propulsore, affiancato da organizzazioni intergovernative come la Banca Mondiale, l’FMI, la BCE e l’OMC. Il G-20 è l’emanazione della crisi, venne infatti concepito come un organismo atto ad identificare cause e soluzioni del dissesto economico globale. La sfida era nell’offrire agli Stati, come anche alle Organizzazioni internazionali, la possibilità di adattare la propria scala di valori al nuovo scenario, rafforzando la cooperazione e la solidarietà a favore di una governance mondiale, o più precisamente di quell’insieme di istituzioni e meccanismi, posti in essere dalle Nazioni Sovrane e gruppi privati, per il controllo delle dinamiche economiche. La fase iniziale dei Vertici trattava prevalentemente i tecnicismi valutari per il contrasto alla crisi, ma nel decorso del tempo si sono attestati a forum con soli tentativi di rispondere alle singole esigenze all’ordine del giorno. In definitiva una trasmutazione alla cooperazione informale tra i Membri con risoluzioni giuridicamente non vincolanti, seppure di marcata influenza politica, non solo ai partecipanti ai Vertici, ma anche a Stati terzi. La forza del G-20 è nel rappresentare l’80% del PIL mondiale, di fatto gli attori principali dell’economia globale, dunque è il maggiore centro di potere in materia economica, pur con i limiti imposti dal numero stesso dei Membri, infatti l’attuale architettura manca di un coordinamento per tutti gli Stati che aderiscono alle Nazioni Unite. In ogni caso, la credibilità del G-20 è nella centratura fra economie forti e Paesi emergenti e questo ha fornito l’impulso necessario per l’evoluzione di Organizzazioni finanziarie, in particolare il Fondo Monetario Internazionale. Anche nel contesto della governance dell’Unione Europea si è rafforzata la politica monetaria retta dal Patto di Stabilità, con una più integrata vigilanza sui mercati e meccanismi per la sorveglianza sulle politiche economiche, agendo sulla disciplina fiscale e la sostenibilità di medio periodo del debito pubblico. Potrebbe essere un nuovo modello di sviluppo e crescita dell’Unione Europea, basato sulla condivisione fra pubblico e privato con una auspicabile snellezza amministrativa. L’obiettivo rimane nella stabilizzazione della finanza globale e nella liberalizzazione del commercio mondiale ed in questo l’UE potrebbe essere la forza trainante, bilanciando gli squilibri dell’economia che sono alla base di componenti sistemiche causate dalle dinamiche valutarie emergenti dei Paesi in via di sviluppo e dell’incremento del debito pubblico di quelli maggiormente industrializzati. L’Unione Europea ha assunto una posizione precisa anche su un altro fattore dominante nel processo di governance globale: quello di internet. Un comparto dove l’attuale modello di regolamentazione ha dei limiti. Princìpi, norme e procedure decisionali che ne determinano il funzionamento, ma anche l’evoluzione, sono le sfide della futura governance di internet, la quale ha traghettato la società mondiale verso la globalizzazione. Infatti permette di distribuire qualsiasi evento dal settore finanziario, al politico, sino al militare con la peculiarità di conservarli nella memoria. E’ possibile supporre che la rete incarni l’aspetto critico della globalizzazione; in internet si fondono sino a rendersi indistinguibili consensi e dissensi, norme e violazioni, una miscellanea di informazioni la cui gestione è nevralgica ma soprattutto inedita. Nella rete si avvicendano calunnia, diffamazione, mistificazione che minano le corrette politiche, le proprietà intellettuali, la garanzia del consumatore, la stabilità e l’integrità, dunque la parte sana di un comparto che, quando sarà regolamentato, dispenserà solo l’informazione e la controinformazione eticamente corretta. L’aberrazione di internet è la guerra cibernetica, definibile come l’unione di tutte le attività che anticipano la conduzione delle operazioni militari e le operazioni finanziarie illecite. Ciò vuol dire la distruzione dell’informazione e dei sistemi di comunicazione avversari con attacchi ai server allo scopo non solo di ascoltare le trasmissioni, ma anche per la sostituzione dei contenuti delle stesse con indicazioni manipolate a svantaggio degli intercettati. Nel 2007, l’Estonia fu oggetto di un devastante attacco cibernetico che coinvolse indistintamente sia il settore pubblico quanto il privato. Questo principiò un nuovo scenario bellico che doveva essere regolamentato e la NATO invitò un gruppo di esperti a Tallin, in Estonia, i quali realizzarono il cosiddetto Manuale Tallin. Questo definisce principalmente gli algoritmi di azione e reazione nello spazio virtuale: atti mirati all’elusione dei sistemi informatici; operazioni cibernetiche complesse tali da causare non solo distruzione di materiali ma anche ricadute estendibili ad un indebolimento delle forze armate avversarie; eventi indiscriminati a danno di personale non direttamente coinvolto con le ostilità. Questi passaggi, furono argomentati nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2012, dove si valutarono i rischi connessi agli attacchi cibernetici contro siti come le reti elettriche o gli impianti nucleari, con il conseguente impatto sulla popolazione civile. Per regolare l’uso indistinto della guerra cibernetica, furono identificate regole per lo più legate alla deterrenza, dove lo Stato colpito da una illecita aggressione informatica, il cui effetto sia equiparabile ad un intervento armato, ossia con perdite umane, può esercitare il diritto di autodifesa anche con armi convenzionali. Le autorità russe, hanno definito il testo del manuale come un documento che, prevedendo azioni e reazioni, possa legittimare un nuovo tipo di conflitto. Al contrario sarebbe necessario allontanare il pericolo della militarizzazione dello spazio virtuale, ma già dal 2010 gli statunitensi hanno composto il Defence Department’s Cyber Command, inquadrato come sottodivisione del Comando Strategico, al fine di implementare le capacità difensive e migliorare le tecniche per lanciare attacchi cibernetici. In cooperazione con i servizi segreti, il Cyber Command ha accesso a 15.000 reti informatiche in 4000 basi militari distribuite in 88 Paesi e prevederà un organico di mille addetti qualificati alla difesa della Nazione. Anche la Gran Bretagna ha istituito una nuova unità, con il preciso intento di sviluppare una capacità offensiva, a scopo di deterrenza. L’esborso economico è stato rilevante, ma ha già prodotto risultati positivi: infatti, secondo dati ufficiali della Difesa, la Gran Bretagna ha eluso circa 400 mila minacce nel solo 2012, rivolte per il 93% ai più importanti gruppi industriali. Dunque la guerra cibernetica è definibile come un nuovo livello di scontro, dove l’arma più semplice può essere una chiavetta USB. Ad inizio 2013, nel Meeting sui rischi mondiali presentato dal Forum Economico Mondiale, il conflitto asimmetrico dell’informatica è risultato essere una minaccia tecnologica e geopolitica, la quale potrebbe tendere al fallimento del governo globale, laddove la guerra cibernetica possa tramutarsi in un’arma per la disinformazione attraverso internet od anche a disposizione dei terroristi. Tale scenario è definito come: incendio digitale incontrollato in un mondo iperconnesso. In definitiva, ciò si traduce nel provocare il caos nel mondo reale, nell’uso non corretto di un sistema aperto e di semplice accesso come internet. Gli attori più agguerriti, però, sono ancora gli Stati, perché lo spionaggio ed il sabotaggio cibernetico necessitano ancora della determinazione e di una logica costi-benefici propri di una Nazione. Per violare i computer si utilizzano IP, Internet Protocol, di altri sistemi a loro volta piratati, detti hop points, e per identificare gli intrusi è necessario percorrere a ritroso i passaggi effettuati da quest’ultimi, sino ad individuare gli indirizzi cibernetici di origine. La guerra cibernetica è estesa anche alle Aziende civili, trasformando di fatto il comparto finanziario e le imprese in un nuovo e più imprevedibile campo di battaglia. Per ottenere dei risultati concreti, al fine di arginare le ingerenze informatiche, è auspicabile che venga istituito un rapporto di collaborazione fra il settore privato ed i Governi, per mettere a punto efficaci strategie di difesa, combinando l’esperienza e l’innovazione tecnologica dei due comparti, allo scopo di prevenire, ma anche di coordinare una reazione comune ad un evento di negazione ai servizi distribuiti in rete. L’acquisizione forzosa di dati sensibili, vuole significare il trasferimento dei segreti di una Nazione, privandola di fatto della sua ricchezza tecnologica, a favore di elementi ostili. Già dalla scorsa legislazione, il Governo italiano ha autorizzato la formazione di una sezione dedicata alla difesa dello spazio virtuale. Il nucleo per la sicurezza cibernetica è presieduto dal Consigliere Militare del Presidente del Consiglio. Un progetto per la regolamentazione della rete è stato presentato nel corso del World Economic Forum, svoltosi a Davos nel gennaio 2014. La Global Commission on Internet Governance, a seguito di quanto argomentato nella città svizzera, studierà soluzioni in materia di censura e sorveglianza, promuovendo in contemporanea una piattaforma di consultazione attraverso canali istituzionali ed accademici per identificare le necessarie strategie future allo scopo di agevolare gli Stati che intendono lo spazio virtuale come un’occasione di crescita e di scambi mediatici liberi ed aperti. L’impatto di internet sull’economia è possibile esplicitarlo sulle ricadute seguite alla decisione del Governo egiziano di oscurare la rete durante la rivolta sociale del Febbraio 2011: l’OECD, ha stimato una perdita sugli scambi commerciali pari al 3-4%, con un valore di circa 90 milioni di dollari. La centralità di internet e le implicazioni che potrebbero ingenerarsi dalla sua interruzione, dunque prevarrebbero sulla finanza sino ad invadere la geopolitica. La governance della rete è principalmente dell’ICANN, Internet Corporation for Assigned Names and Numers, la quale suddivide internet in spazi da assegnare ad autorità locali che a loro volta, distribuiscono gli indirizzi IP ai vari Provider. Pertanto, il processo di rinnovamento probabilmente avrà come obiettivo iniziale l’ICANN attraverso il controllo dell’attività stessa e del consiglio di amministrazione sul quale è necessaria una supervisione statale, perché è una società privata no profit e l’orientamento generale sembra quello di mantenerla tale. Nella conferenza dell’ITU svoltasi a Dubai, i paesi membri si sono frammentati in aree geopolitiche ben delineate, in particolare gli USA ed alcuni Paesi occidentali si sono discostati nella proposta di un intervento diretto dello stesso ITU nella governance di internet, palesando una contrapposizione ideologica con Russia, Cina, Paesi arabi ed africani, non solo sui contenuti della conferenza ma sulle metodologie di controllo della rete. Il trattato di Dubai entrerà in vigore nel 2015, pertanto è plausibile supporre che si possa verificare un avvicinamento fra i contendenti ed apportare le riforme decise a Dubai: correzioni alla politica dell’ICANN; implementare le regole internazionali per le telecomunicazioni atte a garantire il rispetto dei diritti umani; disciplinare l’accesso ai servizi della rete. Un allargamento nel campo regionale che potrebbe preludere a politiche aggressive a livello globale è nell’aera BRICS, dove Russia, India e Cina sono fortificate nelle risorse energetiche, demografiche, territoriali e militari. Tutti aspetti di rilevanza nel processo di governance, in quanto il fattore demografico incide positivamente sulla manodopera e sui consumi, la vastità territoriale ne definisce sia la sovranità quanto la ricchezza in risorse naturali ed il comparto militare identifica la difesa ma soprattutto la deterrenza. La collaborazione fra i Governi e le imprese pubbliche, indicata come una delle soluzioni alla crisi, potrebbe avere degli effetti negativi sulla governance mondiale, in quanto questa possibilità è maggiormente appannaggio degli Stati forti e creerebbe un “modello tripolare” composto da USA, Europa e Giappone, rallentando l’integrazione dei BRICS, in particolare la Cina e la Russia, paesi che presumibilmente sarebbero fondamentali nella nuova architettura economica internazionale. Questo in ragione del momento dove, secondo la Banca Mondiale, la crescita è orientata alla ripresa nel corso del 2014. Nell’aggiornamento delle sue previsioni, l’istituzione di Washington, ha un previsionale di aumento del PIL globale dal 2,4% del 2013, al 3,2% nel 2014. In seguito la crescita mondiale dovrebbe registrare una stabilizzazione, con un 3,4% e 3,5% rispettivamente nel 2015 e 2016. Il rapporto della Banca Mondiale, precisa che l’assestarsi del quadro nelle economie emergenti viene sostenuto proprio dalla solidità della crescita della Cina, ma innanzi tutto specifica che sono tornati positivi i valori nell’area Euro dall’inizio del secondo trimestre 2013, con sviluppi validi anche nei paesi considerati “periferici”: nel 2013 la recessione è finita in Irlanda, Portogallo e Spagna, mentre si è attenuata in Italia e Grecia. Anche il Vaticano ha voluto sottolineare la ristrutturazione della governance globale, identificando come soluzione la riforma del sistema finanziario e monetario internazionale unitamente all’istituzione di una autorità pubblica a competenza universale. La Santa Sede suggerisce come obiettivo a medio termine il ritorno della supremazia politica sulle dinamiche economiche e di istituire aliquote eque con oneri proporzionati da applicare alle operazioni finanziarie in generale, ma più specificamente a quelle che si effettuano sui mercati secondari. Dunque, per riformare la governance globale, l’ONU dovrebbe affermare la sua autorevolezza sugli attori principali e contemporaneamente agevolare il coinvolgimento diretto dei Paesi dell’area BRICS ed in via di sviluppo.