Libia. Attentato a Tripoli, il giorno dopo tra lacrime e polemiche

di Vanessa Tomassini –

Non solo reazioni politiche ufficiali e meeting d’urgenza, l’attentato alla capitale libica scatena polemiche e reazioni contrastanti. I libici da nord a sud si stringono uniti intorno alle famiglie delle vittime in un abbraccio simbolico come quest’uomo in lacrime di fronte alla Commissione Elettorale Nazionale, dove ieri alcuni uomini armati si sono fatti saltare in aria uccidendo 13 persone e ferendone almeno 30. Eppure Daesh è riuscito ancora una volta nel suo vile scopo, dividere e spaventare.
Non poteva essere altrimenti se si considera il luogo finito nel mirino dei Jihadisti, la sede della commissione per le elezioni nazionali un simbolo per un paese che fa fatica a rialzarsi, dove il diritto di voto non era necessario, consentito durante i 42 anni passati sotto “il fratello leader” Muammar Gheddafi. Così tutto viene drasticamente ed inevitabilmente rimesso in discussione: “la capitale non è sicura come dicono” recita un tweet di una giornalista. “È tornato Daesh a Tripoli?” Si domanda un altro, “Unsmil e il Governo non hanno investito abbastanza in sicurezza” tuona un altro ancora, ma la domanda che sorge maggiormente è: “siamo davvero pronti per le elezioni?”. Ma anche prima dell’attentato saremmo stati capaci di rispondere a questa domanda?
Non si sono fatte attendere le accuse verso un governo debole, non riconosciuto e sempre sotto attacco, che malgrado gli sforzi per ristabilire ordine, legalità e servizi ai cittadini, sembra proprio non riuscire ad allargare la sua popolarità.
Così mentre il presidente del Governo di Accordo Nazionale, Fayez al-Serraj, diffonde le foto della sua visita in ospedale ai feriti, dalla Cirenaica arriva l’accusa della Camera dei Rappresentanti: “non sono stati capaci di garantire sicurezza per gli impiegati della Commissione”, proponendo di spostare la sede a Bengasi. E poi ancora, i media commentando il vertice d’emergenza negli uffici del Consiglio Presidenziale: “manca il capo dell’intelligence, non c’è il Ministro della Difesa”. Sui morti ancora caldi imperversano tweet e note amare e poi via ad una serie di comunicati istituzionali.
Il ministro della Difesa, Mahdi al-Barghathi, ancora sospeso per l’indagine sulla strage di Brak Shati, ha invitato in un comunicato tutte le parti a lavorare per la Costituzione e la legge elettorale affinché si giunga al più presto alle elezioni, unica via di uscita dalla crisi e “l’unico vero modo per sconfiggere il terrorismo”.
Ferma reazione anche da parte dell’Italia, il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Angelino Alfano, ha detto: “Esprimiamo la più ferma condanna contro il vile attentato terroristico che ha colpito questa mattina a Tripoli l’Alta Commissione nazionale per le elezioni in Libia. Siamo vicini alle famiglie delle persone colpite, cui rivolgiamo le più sentite condoglianze. Auguriamo una rapida guarigione ai feriti. Ribadiamo il nostro forte sostegno alle Istituzioni Libiche in questa difficile prova. Non vi è posto per il terrorismo in Libia e i responsabili devono essere al più presto identificati e portati di fronte alla Giustizia. Questo terribile atto di violenza non deve scoraggiare nel proseguire nello sforzo di riconciliazione per far avanzare il processo politico nel Paese, in vista dello svolgimento di elezioni libere e democratiche”.
Sulla stessa linea anche il portavoce della Commissione europea, mentre il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha esteso le sue condoglianze alle famiglie delle vittime e sincero affetto verso i feriti, ribadendo l’impegno delle Nazioni Unite per l’attuazione del piano d’azione per la Libia ed esprimendo “il suo apprezzamento e sostegno per gli importanti sforzi compiuti a tale riguardo dal suo rappresentante speciale, Ghassan Salamé, che sta lavorando a stretto contatto con tutte le parti”.
Eppure malgrado gli inviti ad andare avanti, paura e sgomento portano le famiglie a restare a casa mentre per le strade vanno avanti i controlli e le perquisizioni in cui chiunque viene trovato in possesso di armi viene fermato ed interrogato. La capitale libica non era stata colpita da attentati dal 2015, quando a gennaio i Jihadisti uccisero 9 persone all’Hotel Corinthia, per questo forse non è giusto parlare di insicurezza o di responsabilità. Lo abbiamo visto in Europa, negli Stati Uniti e in tutte le zone del mondo, Daesh è sempre pronto a colpire il punto debole, il tallone d’Achille, comunicando le proprie responsabilità sulla sua fedele agenzia Amaq, come è accaduto ieri, mettendo il cappello su qualsiasi cosa dimostri di essere ancora vivo e minacciando inverosimilmente l’inizio di una guerra ancora lunga.