Libia. Il processo costituente minacciato dalle divisioni: la legge elettorale non include sufficientemente le minoranze

di Elisa La Gala

zeidan grandeTRIPOLI. Scontri armati tra milizie, assassini politici, tensioni tra Governo e Congresso, un tentativo – fallito – di sequestro del Primo Ministro, confini porosi e fuori controllo: questa la Libia a due anni dalla rivoluzione.
All’indomani di uno scontro tra milizie a Tripoli – il più violento dopo la rivoluzione – la comunità internazionale ha manifestato la propria preoccupazione per la situazione che sta attraversando il paese. Le istituzioni transitorie sono deboli ed incapaci di imporre lo stato di diritto e placare le tensioni crescenti tra le diverse regioni.
La legge elettorale adottata dal Congresso lo scorso 22 luglio al fine di stabilire le modalità ed i tempi per l’elezione dei 60 membri della Commissione Costituzionale rimane motivo di tensione politica e malcontento.
La legge difatti assicura pochi seggi ai candidati donne (6 su 60) e ai rappresentanti delle 3 minoranze etniche (2 per gli Amazigh, 2 per i Tuareg e 2 per i Tebu) e stabilisce che il testo costituzionale sia approvato dalla Commissione con una maggioranza semplice, 50% + 1, vale a dire 31 voti su 60. Il meccanismo pertanto non lascia alcuno strumento di pressione ai rappresentanti di donne e minoranze in caso il testo costituzionale non recepisca sufficientemente le loro richieste.
Al contrario un numero maggiore di seggi per le minoranze etniche e le donne e la previsione di una maggioranza qualificata (2/3) garantirebbe maggiore consenso e legittimità al testo costituzionale e contribuendo ad ammorbidire le tensioni crescenti nel paese, soprattutto nelle aree in passato neglette dal regime di Gheddafi.
Tuttavia, il Congresso non sembra avere intenzione di rivedere le proprie disposizioni, malgrado anche le maggiori organizzazioni internazionali abbiano espresso perplessità per una legge elettorale non sufficientemente inclusiva.
I rappresentanti di donne e minoranze al Congresso a seguito dell’adozione della legge elettorale hanno avviato un’azione di boicottaggio, astenendosi dal voto ed esortando i cittadini a non candidarsi per la elezione della Commissione Costituzionale.
Nel tentativo di recuperare coesione, il Primo Ministro Ali Zeidan ha lanciato ad Agosto un’iniziativa per il dialogo nazionale, successivamente arenatasi per il mancato coinvolgimento dei rappresentanti di alcune tribù. L’iniziativa per il dialogo nazionale avrebbe dovuto interrogarsi tra l’altro sulla forma di stato da adottare, tema peraltro cruciale per il buon esito del processo costituente.
La fase di registrazione dei candidati per la elezione della Commissione Costituzionale si è conclusa soltanto ieri. Nonostante una proroga del termine ultimo per la registrazione e i molteplici appelli del Primo ministro a non boicottare le elezioni, la lista finale include 681 candidati, 60 donne, 14 Tebu e 7 Tuareg e nessun candidato per gli Amazigh. Non è ancora chiaro come il Congresso opererà per ovviare all’assenza di candidati rappresentanti della minoranza Amazigh.
Il rilancio dell’iniziativa per il dialogo nazionale, con il sostegno delle maggiori organizzazioni internazionali, rappresenta a questo punto un’occasione imprerdibile per avviare un confronto concreto con la società civile e affrontare le tematiche cruciali della riconciliazione nazionale, del disarmo e della forma di stato, federale versus unitario. Senza un dibattito aperto su tali tematiche e senza una volontà politica inclusiva, il processo costituente in Libia rischia di arenarsi e di trascinare il Paese nuovamente nel caos.